Esame visivo del vino: il primo passo della guida per imparare a degustare il vino
Chi ben comincia è già a metà dell’opera non fu mai motto più verace quando si parla di osservazione del vino, la cosiddetta analisi visiva del vino. Sembra un discorso assurdo, ma il primo approccio con un calice di vino vi darà moltissime informazioni, diciamo pure che è come la stretta di mano, capirete di che pasta è fatto il vino in questione.
Dall’analisi visiva capirete se è un vino bianco o rosso e non è una cosa da poco, alcuni vini se bevuti alla cieca vi possono tranquillamente ingannare. Capirete poi se è un vino giovane o già maturo; se è un vino leggero o denso e potrete fare ipotesi su questa densità: è per via dello zucchero o di un grado alcolico elevato? E poi in base alla quantità e alla cinetica delle bolle, dal perlage, capirete se è uno spumante, un rifermentato o un semplice moscato appena mosso.
Prima di partire con i vari passaggi dell’esame visivo del vino, però sappiate che non esistono regole auree, ma solo piccole verità che ogni volta vanno vagliate e prese cum grano salis e ricordate che appena trovate un’ipotesi valida, non diciamo una regola, subito dopo arriva la sua contraddizione. Per aiutarvi ad affrontare una degustazione nel miglior modo possibile, abbiamo stilato una serie di consigli utili per creare le condizioni ideali prima di stappare.
Cosa vi serve per iniziare a degustare un vino
Molto bene, partiamo. Dovrete avere a disposizione una bottiglia, mantenuta alla temperatura ideale e messa in posizione verticale almeno un’ora prima dell’assaggio, un calice pulito, un tovagliolo e un tavolo bianco. Se non è bianco copritelo con un tovaglia bianca o prendete un foglio.
Procedete con calma, rilassati, non c’è fretta, prendetevi 10 minuti per dedicarvi a questa attività. Sono i vostri dieci minuti di meditazione zen.
Stappate la bottiglia con attenzione, pulite la bocca della bottiglia con il tovagliolo e annusate il tappo. Se il tappo odora di vino tutto a posto, se odora di tappo ci sono problemi e sicuramente avrà contaminato il vino. In ogni caso prima di iniziare con l’analisi visiva e di agitare il vino, annusate subito per individuare eventuali difetti.
Non è un’analisi approfondita dei profumi, cerchiamo solo difetti. Bene, ripartiamo: avvinate il bicchiere, versando una piccola quantità di vino. Fate roteare il calice per far aderire il vino a tutta la superficie, quindi buttate le due gocce di vino e versate il vino. Adesso c’è una fase fondamentale dell’analisi: come si muove il vino?
Scorre come acqua? Oppure è denso e consistente e si muove con più lentezza? Prendetene nota, ne riparleremo dopo. Andiamo avanti e afferrate la parte finale dello stelo del calice, inclinate la punta del calice leggermente in avanti in modo che sia attraversato dalla luce e sotto ci sia la tovaglia bianca. Va bene anche un foglio, basta che sia candido: solo in questo modo riuscirete a capire il colore del vino. Adesso osservate il vino e se è limpido e non presenta particelle in sospensione o impurità possiamo andare avanti. Anzi, no! Fermatevi, congelate il tempo così, rimanete con il calice in mano e leggete.
Analisi visiva del vino rosso
Parliamo dell’aspetto più importante, il colore del vino: partiamo dai vini rossi e dall’evoluzione della loro pigmentazione. Quando sono giovani il colore è porpora, mano a mano che invecchiano diventano rosso rubino, rosso granato e finiamo con il colore più affascinante: un rosso aranciato che ricorda le tinta di un mattone. Ma voi vi starete chiedendo perché ci sia questa perdita di colore nei vini rossi? È molto semplice, appena spremuti i grappoli sono pieni di antociani, tannini e polifenoli, diciamo che il colore è il più scuro possibile, al suo apogeo, grazie a tutte queste sostanze coloranti. Con l’andare degli anni decadono, si attenuano e si ossidano, andando a depositarsi sul fondo. Ed è per questo che spesso si trovano residui nei vini rossi invecchiati. Il vino si spoglia poco a poco, lasciando cadere a terra le sue vesti. Partite sempre ad osservare dal bordo del bicchiere, dove il vino è più chiaro, quello è il punto più significativo.
Ma fate attenzione, questo è uno schema rigido e non sempre tutto è così lineare. Ci sono vitigni che restituiscono vini molto densi e scuri come il Sagrantino, il Syrah, il Cabernet Sauvignon e il Lagrein, che anche quando invecchiano mantengono una pigmentazione molto oscura e fitta. Certo il tono non è più purpureo, ma diventa di un colore rosso bordeaux. Al contrario vini come Pinot Noir e Nebbiolo sono trasparenti e scarichi rispetto ad un nerboruto Merlot e se osservate che un Pinot Noir è molto scuro e denso, sicuramente c’è qualcosa che non va. Questi vini hanno finezza e non muscoli nel loro DNA, se sono così carichi sono stati pompati con estrazioni anabolizzanti o ancor peggio tagliati con vini più colorati.
Il colore del vino dipende anche dal tipo di terreno
Ma non è finita qui, i colori del vino sono un ventaglio, un arcobaleno con mille sfumature e ci dicono ancora di più. Per fortuna la conoscenza delle zone di produzione ci viene in soccorso ed è per questo che non si smette mai di studiare. Prendiamo in esame il re dei vini italiani, il Nebbiolo. Come potreste trarre nuove informazioni (ad esempio) dai 6 calici di Nebbiolo che vi hanno messo davanti agli occhi. Perché hanno colori diversi, più o meno intensi? Non è solo questione di età, ma anche di terreni e come ben sapete i terreni pesanti, argillosi, rendono il vino più scuro, quelli scarichi a base sabbiosa rendono il vino più chiaro. Per cui il calice più scuro potrebbe essere un Barolo di Castiglione Falletto, zona conosciuta per la potenza tannica dei suoi vini, quello più scarico un Roero Rosso, zona con terreni più sabbiosi, e quello così trasparente e lucente potrebbe essere un Boca o un Nebbiolo di Valtellina, vini di montagna sottili come lame.
Analisi visiva del vino bianco
Nei vini bianchi invece i colori ricordano i vari gradi di maturazione di un frutto come una mela, ma dimenticate il discorso dell’evoluzione dei colori, ossia non prendetelo per oro colato, non è il punto di vista giusto per giudicare un vino bianco. Se è vero che il vino bianco, molto meno ricco di antociani e tannini, si ossida con il tempo diventando sempre più brunito, il colore dei vini bianchi rispecchia il grado di maturazione dell’uva, visto che sono vini fatti con macerazioni molto brevi. I vini di colore giallo verdolino vengono da una vendemmia precoce e quindi saranno sicuramente acidi e snelli, non certo ricchi ed opulenti.
Se il vino è giallo paglierino o dorato, di tonalità intensa, significa che il vino è sontuoso, perché le uve con cui è fatto sono state raccolte quando la maturazione polifenolica era più avanzata.
Però state attenti, non fatevi ingannare, il colore non deve dirvi immediatamente quale vitigno state assaggiando, non è questo che ci interessa, non dovete tirare ad indovinare e dire che è un Riesling dal colore verdolino. Il colore deve dirvi di che pasta è fatto il vino. Prendiamo come esempio uno Chardonnay, potrebbe essere presente in entrambi i calici, sia nel calice giallo verdolino, ed essere un vino fresco e beverino, che nel calice dorato, ed essere un vino grasso come un Montrachet che ha fatto invecchiamento in legno. Ricordate che l’osservazione è uno strumento, non una giustificazione delle proprie convinzioni, siate distaccati.
Il colore dei vini passiti
Finiamo poi con i vini ambrati, nati dalla spremitura di uve che oltre alla maturazione in pianta hanno fatto appassimento e quindi sono diventate più scure. Il liquido è evaporato lasciando spazio a zuccheri e polifenoli. In questo caso il vino ha un colore che ricorda il miele di castagno e l’ambra, la densità è molto diversa, questi nettari tendono ad essere densi, consistenti e li vedrete muoversi più lentamente nel calice.
Il colore dei vini fortificati
Se notate che il colore è particolarmente scuro allora avete a che fare con vini fortificati come Madeira, Marsala, Sherry e vini di Porto, dove l’ossidazione ha giocato un ruolo fondamentale nell’affinamento del vino.
Ok, bene, se siete ancora vivi dopo questa introduzione sul colore del vino, possiamo tornare al momento magico in cui vi eravate ibernati con il calice in mano. Adesso con eleganza e noncuranza roteate il bicchiere: siate sempre discreti e poco appariscenti, i fenomeni non piacciono a nessuno. Non roteate molto, qualche secondo, non vogliamo ossigenare il vino, ma solo constatarne la densità, avrete tempo in un secondo momento per annusare.
Lo scopo di questa operazione è quello di capire quanto è denso il vino, per cui osservate quanto velocemente si muove e le lacrime e gli archi che si formano scendendo. Le lacrime sono le gocce, gli archetti sono gli archi che uniscono le lacrime.
Ma che cosa rende un vino denso? In primo luogo l’alcol etilico, poi il glicerolo, che è un altro alcol ed anche uno dei responsabili della morbidezza del vino, la ricchezza di polifenoli (in grado molto minore però) e infine lo zucchero.
Empiricamente l’analisi è molto semplice: come sono questi archetti? Sono veloci, ampi e irregolari? Significa che il vino non è molto denso e quindi è poco alcolico o povero di glicerolo (e quindi non sarà particolarmente morbido) oppure non ha molti polifenoli.
Se al contrario gli archi sono lenti, regolari e di piccola dimensione significa che il vino è pesante, consistente e quindi aspettatevi di assaggiare un vino strutturato e alcolico.
Per allenare l’occhio a questo esame fate qualche prova sul campo. Mescete qualche calice: riempitene uno di acqua, uno con un vino giovane e leggero, uno dorato e consistente, un rosso giovane violaceo, un rosso tannico, un rosso con qualche anno sulle spalle e un passito. Roteate i calici e guardate come i liquidi si muovono in maniera molto differente in base alle densità.
State andando alla grande, abbiate pazienza, ormai ci siamo!
Limpidezza: attenzione ai residui
Abbiamo parlato di colori del vino, di stadi evolutivi, ma un elemento che forse va un attimo ripensato è la brillantezza del vino. Anni fa era un requisito fondamentale, su cui si sono costruite teorie e guerre, oggi va adeguato a tipologie di vini che stanno tornando in auge come i rifermentati in bottiglia: è normale che i colori siano diversi e che ci possano essere delle particelle. Anzi nel rifermentato in bottiglia ci sono i lieviti sul fondo, come nelle birre non pastorizzate, è normale. Discorso diverso invece per il residuo dei vini rossi invecchiati. Qui i residui vanno eliminati con la decantazione della bottiglia. Qualche particella può scappare, ma attenzione a non inquinare il vino.
Esame visivo degli spumanti
Finiamo in grande stile, anche per Champagne e spumanti la teoria non cambia, vanno analizzati come vini bianchi, solo che entra in gioco l’effervescenza creata dalla rifermentazione, il perlage. In questo caso più sono fitte e numerose le bollicine e più anidride carbonica è presente nel vino. Ma questo non significa che sia un grande vino: uno spumante pompato di anidride carbonica sarà turbolento e scorbutico. Quello che conta è la finezza delle bolle e infatti si deve osservare la dimensione delle bolle sprigionate per capire quanto siano fini.