Papesse Sangiovese 2017: la recensione di uno splendido vino romagnolo
Se non siete mai stati in visita alla cantina Villa Papiano, rimediate, chiamate e andate in pellegrinaggio. Per scoprire quanto buono, affilato ed elegante possa essere il Sangiovese, questa cantina romagnola merita una visita. Ad accogliervi ci saranno professionisti brillanti e pieni di passione, vini incredibilmente immaginifici e una panorama che esula dal solito stereotipo fatto di colline dolci con il mare in lontananza.
Qui siamo nel cuore dell’Appennino, in mezzo a cinghiali e lupi, dove solo i più coraggiosi osano. Il clima è rigido e l’escursione termica si fa sentire, dopo tutto le vigne di questo vino affondano le radici ad una altitudine di 500 metri.
Ok, dopo questa epica intro, parliamo però del vino! Certo, ben volentieri parliamo dei vini di Francesco Bordini, perché non è solo un vignaiolo dall’esperienza infinita, ma perché è un cantastorie del vino. Ti sa irretire con racconti millenari di strati e sconvolgimenti climatici e geologici.
Ti prende per mano e ti racconta che è effetto ha il bosco e la temperatura sulle vigne di Sangiovese, di come cambi la vigna non solo in base alle esposizioni e al sole, ma anche a quanto sia vicina al respiro degli alberi.
Per questo abbiamo parlato dell’Appennino. Di quanto sia importante la montagna e la presenza della natura. In collina si riescono a fare ottimi vini, certo, ma se scendiamo poi nella pianura romagnola ecco che tutto cambia.
Per correttezza, diciamo che condizioni simili sono uniche. Pochi sono i vignaioli che osano e possono permettersi un terroir simile. Ma pochi sono anche quelli che decidono di vivere e lavorare in condizioni così critiche. Parlavamo delle fiere appenniniche ghiotte di uve, ma non lo dicevamo per folclore, ma perché sono un problema reale e non mancano neanche i cervi a dare problemi.
E il vino allora?
Il Papesse Sangiovese 2017 è spettacolare, un concentrato di roccia, mare, frutto algido e terra. Il bouquet è sferzante, affilato come una lama. Non aspettatevi tanta morbidezza ma un tono austero e compatto. Anguria, pomodori, fiori a non finire e poi mille profumi di terra, radici e rabarbaro.
Al palato è asciutto e terso, scolpito nella roccia. Il corpo è snello, sinuoso, ma non si concede mollezze. Tutto nerbo e tensione gustativa. Il volume è contenuto, gioca sull’allungo sapido e acido che duettano con i tannini docili in sottofondo, a dare consistenza, a fare da cornice per contenere questa splendida opera d’arte, fatta di pennellate nervose e taglienti.
Non è un vino colossale, tutto il contrario. Il suo respiro però è viscerale e scava in profondità. Basta guardare il suo colore trasparente e scintillante per capire che è un vino dall’anima cristallina.
Ancora una volta Villa Papiano ci dimostra che il territorio non è solo un motto da marketing spicciolo e non solo un luogo, ma un progetto, un’idea e questo vino è incarnazione perfetta della sintesi tra uomo e natura.
Prezzo
12-14 euro: un prezzo ridicolo per un vino eccellente e di grande personalità.
Abbinamenti consigliati
Taglieri di salumi, pizza margherita, vitello tonnato, pollo al curry, costine con salsa barbecue, lasagne al forno, pulled pork, hamburger, filetto alla Wellington, paella.