L’Abruzzo è una regione generosa, sconosciuta ai più e per questo meravigliosa, aspramente meravigliosa: gode dell’irresistibile fascino della semplicità, virtù piuttosto rara di questi tempi. Tutto nasce dalla conformazione della regione, percorsa dagli Appennini ad occidente e lambita ad oriente dall’Adriatico, che per anni ne ha preservato l’integrità, cristallizzandola in un esilio dorato e un po’ sonnolento. È come addentrarsi in un giardino di pietra: montagne, laghi, boschi e cascate ovunque, vallate che custodiscono antiche città romane e torri appollaiate su picchi solitari. Un luogo dove il tempo scorre lentamente, anzi si è fermato per lasciarti entrare.
Gran Sasso e Majella, le vette più alte dell’Appennino, sono i maestosi guardiani di questo giardino. C’è chi li trova torvi, chi ci vede una bella sfida, chi si ipnotizza a fissarli per ore. Qualunque cosa ci vogliate scorgere, avrete tempo per decifrarla, visto che questi monti dominano il cielo e vi accompagnano fino al mare, dove il paesaggio si apre e si fa più dolce.
È questo il segreto del vino: l’eterna lotta tra terra e mare, che mai vedrà vincitore. I venti del mare profumano e ripuliscono l’aria dall’umidità, le montagne regalano un’ottima escursione termica, vitale per la crescita della vite. Un ciclo che si perpetua da millenni, come dimostrano i ritrovamenti archeologici. Lo stesso Ovidio, nativo di Sulmona, ci dice che questa terra fertile era cara a Cerere, dea delle messi, ma che era ancor più generosa per il vino, di cui non si possono non notare le affinità con il terroir: rustico, pieno di forza e profumi agresti, ben strutturato, in un primo momento introverso, ma pronto a entusiasmare con quell’esuberanza che sfocia in un’eleganza nitida che rende unici questi vini.
I vitigni impiantati sono principalmente autoctoni: prima di tutto Montepulciano e Trebbiano, poi Cococciola, Pecorino e Passerina (gli ultimi due sono nativi delle vicine Marche, ma possiamo considerarli pur sempre di casa). Pochi si sono lasciati sedurre dalle mode internazionali: non è terra per bordolesi questa. D’altronde non ce n’è alcun bisogno, sarebbe una follia alterare una consuetudine che è selezione naturale.
Non pensate che pochi vitigni offrano un panorama piatto, per due semplici motivi: primo, la differenza abissale tra vini di montagna, imponenti, e di mare, più leggiadri, per via dei condizionamenti naturali. Secondo, la presa di coscienza di una nuova generazione di giovani vignerons, intenzionata a rinnovare, sperimentare e nobilitare la terra in cui crede. Si stanno facendo passi da gigante nella giusta direzione: meno resa per ettaro, piante fitte, lavorazione manuale sia in vigna sia in cantina, legni meno intrusivi per una ricerca stilistica di rigore territoriale. Insomma, il futuro sembra radioso, le radici sono ancorate al sapere degli anziani, ma i giovani virgulti puntano in alto, e, fatto da lodare, molti si stanno riconvertendo (ritorno alle origini?) al biologico, grazie alle altitudini che favoriscono una coltivazione sana e priva di additivi chimici.
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