Trump minaccia il vino italiano: Valpolicella a rischio paralisi logistica ed economica
Vino fermo in cantina, importatori paralizzati e container vuoti: la minaccia Trump congela milioni di euro
Container pronti. Etichette applicate. Pallet già imballati. Ma le navi restano vuote.
La Valpolicella si trova con il fiato sospeso e lo sguardo rivolto a Washington. Il timore di una nuova ondata di dazi punitivi del 200%, annunciati dall’ex presidente americano Donald Trump, ha bloccato le spedizioni di Valpolicella Classico, Superiore e Ripasso, congelando gli ordini in una delle stagioni commerciali più cruciali dell’anno: quella che precede il Vinitaly 2025.
Secondo le stime fornite da Confagricoltura Verona, l’export verso gli Stati Uniti – che rappresenta circa l’11% del giro d’affari della Valpolicella – è completamente fermo da gennaio. Un dato preoccupante, se si considera che il mercato USA vale quasi 600 milioni di euro per l’intero export vinicolo veneto, ovvero circa un quinto dei 2,8 miliardi di euro totali esportati nel 2023 (fonte: Veneto Agricoltura).
Il rischio Trump: dazi al 200% e mercato a rischio paralisi
Piergiovanni Ferrarese, presidente nazionale della sezione vino dei Giovani di Confagricoltura e membro della giunta veronese, conferma la paralisi:
“Gli ordini dagli Usa sono stati formalizzati ma non evasi. Le bottiglie sono pronte, ma gli importatori non rischiano di imbarcare. Il pericolo è che la merce arrivi in dogana a tariffe mutate, con una tassazione triplicata”.
Il timore è concreto: se il dazio venisse effettivamente alzato al 200%, a essere colpiti sarebbero principalmente i vini entry level – in particolare Valpolicella Classico e Superiore – ossia quei prodotti che rappresentano il cuore della distribuzione su larga scala.
L’Amarone, vino icona della denominazione, meno sensibile alle oscillazioni dei dazi per via del suo posizionamento premium, potrebbe subire contraccolpi meno devastanti. Tuttavia, gli ordini internazionali vengono spediti in lotti misti, e se anche una sola tipologia venisse colpita in modo pesante, l’intero container diventa economicamente ingestibile per gli importatori.
Una paralisi da milioni di euro: ecco cosa rischia la filiera
La Valpolicella, con un giro d’affari annuale che supera i 700 milioni di euro, è uno dei territori simbolo del vino italiano nel mondo. Il blocco dell’export verso gli Stati Uniti rappresenta una perdita potenziale di oltre 75 milioni di euro in pochi mesi, con effetti a cascata su tutta la filiera: dai produttori ai trasportatori, dai distributori ai piccoli artigiani dell’etichettatura e dell’imballaggio.
Ma a essere in gioco non è solo il fatturato. È la fiducia dei mercati internazionali.
“Non possiamo permetterci incertezze in un sistema così competitivo”, spiegano i rappresentanti del settore. “Ogni giorno di stallo è un assist ai concorrenti di Cile, Australia e Spagna, pronti a prendere il nostro posto sugli scaffali americani”.
Lo scenario geopolitico: perché Trump minaccia il vino italiano
L’ipotesi dei super dazi sul vino italiano rientra in un più ampio progetto di protezionismo economico preannunciato da Donald Trump in vista della campagna elettorale 2024-2025. Già durante il suo precedente mandato, il tycoon aveva ventilato misure simili contro prodotti simbolo del made in Italy (olio, formaggi, vino), come ritorsione per il Digital Tax europeo e a favore del settore agroindustriale americano.
Con la minaccia di un nuovo ingresso alla Casa Bianca, il solo annuncio ha già avuto un impatto devastante sulla logistica e sugli ordini internazionali. La strategia dell’”America First”, in versione aggiornata, passa ora anche per i container di Valpolicella.
Cosa può fare l’Italia? Diplomazia, Vinitaly e una risposta di sistema
Con il Vinitaly alle porte, i produttori sperano in una presa di posizione chiara da parte delle istituzioni italiane ed europee. Serve una cabina di regia tra MAECI, MIMIT e ICE, capace di proteggere le aziende e rassicurare i mercati. Allo stesso tempo, si valuta una diversificazione delle rotte commerciali, puntando con maggiore decisione su Canada, Corea del Sud, Giappone e paesi ASEAN, dove la cultura del vino italiano continua a crescere.
Ma il tempo stringe. E intanto le bottiglie restano lì: pronte ma ferme. In attesa che la geopolitica liberi i tappi.