Degustazione dei vini della cantina Maurizio Ferraro: un vino diverso si può fare ed è un piacere berlo!
Incontrare, parlare e conoscere un viticoltore come Mr. Maurizio Ferraro è illuminante. È una persona molto tranquilla, disponibile, aperta, ma che, proprio come i suoi vini, non si perde in chiacchiere ma va subito al sodo.
Le bottiglie di Ferraro sono uniche, nel senso che ogni annata è diversa e porta con sé le cicatrici e le gioie dell’anno, non ci sono filtrazioni, lavorazione intrusive o chiarifiche. In vigna vige la saggezza contadina di un tempo e niente facili scorciatoie. Ma non vogliamo raccontarvi tutti i particolari, se volete visitate il sito del produttore e leggetevi tutto, come lavora e la sua filosofia. Una lettura preziosa, che fa capire come l’agricoltura ultimamente sia stata dopata e drogata dalla chimera delle vendite e delle mode, quando solo 60 anni fa era sussistenza e il vino non era estetica del gusto fine a sé stessa.
Perché diciamo questo?
Non vogliamo fare i talebani del vino naturale, per questo vi rimandiamo alle riflessioni sul falso mito del vino naturale, quando il vino è una delle massime e più intime creazioni dell’uomo con la bottiglia di Ponte di Toi; no vogliamo prepararvi ai vini Ferraro.
Perché sono vini che spiazzano, ma che sono partiti dal passato e oggi si presenta in una chiave di lettura più moderna che mai. Ormai i vini stilizzati, preconfezionati dagli invecchiamenti in botti, hanno stancato, deve essere il territorio, il vitigno a parlare. Il vino deve essere franco, tradurre in sapori ed emozioni un legame con una terra, altrimenti compriamoci in Pinot Nero cileno e siamo a posto. È buono, sapido, profumato, ma alla fine che ti rimane?
Stiamo andando esagerando con questa mania di terroir, di voler attribuire a tutti i costi un significato che va oltre al vino?
Forse, ma i grandi vini che lasciano il segno sono quelli legati ad un luogo: Sauternes, Hermitage, Tokay, Barolo, Vernaccia di San Gimignano, Brunello di Montalcino, a suo modo il Chianti, Barbaresco, Bordeaux, Borgogna.
Ma veniamo ai vini in questione, ne abbiamo un provati alcuni e ci siamo illuminati. I vini sono pieni, caldi, sapidi, ruggenti, tecnicamente puliti, ma con profumi inconsueti e spezzano stilemi antichi che vogliono vini docili e misurati, vincoli estetici classici. Insomma basta assaggiare il Ruchè per capire come possa cambiare da notte a giorno. Certo non sono vini facili o immediati, serve un approccio misurato, pazienza, appena li aprite sono chiusi e anche bruschi, ma poi la naturalezza di beva che offrono è pazzesca.
Secondo me bianco
Blend di Timorasso, Chardonnay, Grignolino: Grignolino starete pensando? Ebbene sì, Grignolino in grande stile a dare corpo, ruvidità e spessore. Il vino è di una bevibilità mostruosa, petali di fiori gialli, cola, birra e profumi ancora maturi che sfumano nell’erba. Frutto caldo, ma ben levigato, sospinto da una freschezza che solletica. Quello che ci è piaciuto è lo spessore, la polpa che si morde e passa dalla lingua al palato in uno scroscio di sapori fruttati. Equilibrio discreto, grande facilità di beva e tecnicamente irreprensibile. Costo 12 euro. Il vino bianco estivo da aperitivo che tutti dovrebbero assaggiare. Da abbinare a vitello tonnato, pollo al curry, lasagne al forno, hamburger.