Tignanello Antinori 2014: Vale 100 Euro? La recensione
C’è bisogno di un motivo per aprire una bottiglia di Tignanello, il re di tutti i Supertuscan?
In realtà no, non è il vino da mettere in cantina per la laurea di tuo figlio nato da una settimana. È innegabile però che da vino rivoluzionario che ha rivalutato la Toscana, fondato il concetto di Supertuscan, spezzando vincoli vecchi di secoli e al contempo conquistando il mercato americano, sia diventato un vino abbastanza stilizzato, diciamo che si è seduto sugli allori accontentandosi di una formula vincente, replicabile come marchio, come icona, per ovvie ragioni commerciali. E non c’è niente di male.
Dopo tutto è un vino piacevole, molto strutturato con marmellata, spezie e legno a volontà, non molta polpa, ma di estratto ne abbiamo a iosa. E allora dove è il problema? E badate che non abbiamo nessun pregiudizio, anzi siamo sinceri e abbiamo riassaggiato qualche mese fa un Tignanello 2008 e andava come via liscio come un tè freddo, aveva perso tutta quell’isteria tostata imposta dalla barrique e aveva trovato un via per esprimersi senza troppa ridondanza.
Il problema è che non è proprio un fulgido esempio di Sangiovese, uno lo interpreta come vuole certo, ma se poi questa prevedibilità limita il potenziale così espressivo di questo incredibile vitigno il vino perde carisma, perché come blend è pur sempre un Sangiovese all’85%, con un saldo di Cabernet Sauvignon al 10% e finiamo con un 5% di Cabernet Franc.
Il Sangiovese è polpa succosa, austerità, carne, sanguigno, selvatico e sottile: vola come una farfalla e punge come un’ape. E invece il Tignanello è peso massimo nerboruto con i guantoni di zucchero filato.
Siamo sicuri che questo trattamento bordolese così concentrato, con frutto muscoloso e tannini morbidi, sia applicabile al Sangiovese?
Le vendite dicono di sì.
Il lavoro in vigna parte da presupposti di grande rigore, la ricerca per la concentrazione e la qualità delle uve è spasmodica: pochi grappoli per pianta, esposizione dei vigneti perfetta, altezza tra 350 e 400 metri. Suoli particolari che vantano una miscela di galestro, calcare e argille, insomma, tutto è stato studiato per fare lavorare bene queste vigne.
In cantina fermenta, poi via in barriques per la malolattica, quindi riposa per 12-14 mesi in legni nuovi e usati.
Ma torniamo al discorso iniziare, il motivo per stappare questo vino era che stavamo aspettando al varco questo Tignanello Antinori 2014 e sapete perché?
Perché è stata un’annata funesta e poco espressiva per quasi tutto il territorio italiano, eppure il Tignanello 2014 ce l’ha fatta, è uscito indenne dal massacro di piogge, muffe e nebbie. Ma ne valeva la pena di fare questo vino?
A dire la verità sì, ma sì, sì, sì, perché le condizioni così uggiose hanno rallentato la maturazione e hanno conservato acidità nelle uve, rendendo il Tignanello 2014 atipico per i suoi standard, anzi ti molla subito un bel pugno in faccia con una carica acida che non avevamo mai sentito in questa bottiglia.
Il bouquet
I profumi anche sono più terrosi, meno marmellatosi, sul versante fruttato offre un profilo più tagliente e meno pompato, senza cadere sul classico sviluppo materico un po’ troppo circonvoluto. Il legno si percepisce ancora troppo, ma essendo un 2014 non è un gran problema, con 4-5 anni smaltirà l’eccesso di vaniglia e tabacco.
Il sapore
Al palato mostra una vivacità quasi mentolata, la freschezza riesce a dettare un buon ritmo, dando scorrevolezza e finezza al vino. I tannini sono fitti e credibili nello sviluppo terroso, aprendosi in sapori di bosco, radici e rabarbaro.
Ci è piaciuto perché è primo Tignanello che sa di Sangiovese e poco di Supertuscan.
Prezzo
100 euro: il prezzo è sempre quello, inutile discuterne quando si tratta di un vino di grido che si vende da solo, ma è un po’ altuccio.
Abbinamenti consigliati
Acidità, struttura e spezie invitano ad un abbinamento con preparazioni BBQ e carne, da provare con pizza margherita, vitello tonnato, pollo al curry, pulled pork, hamburger, filetto alla Wellington, paella.