I vini rossi dell’Alto Adige più buoni: la classifica delle migliori bottiglie
Quali sono i migliori vini rossi dell’Alto Adige per rapporto qualità prezzo? Quali sono le bottiglie altoatesine che ogni wine lover dovrebbe assaggiare almeno una volta nella vita?
Sono domande molto interessanti che ci danno ottimi spunti e permettono di parlare di splendidi vini, anche se un po’ dimenticati. Spesso, quando si parla di vino altoatesino, si dà per scontato che siano vini bianchi come Chardonnay, Riesling, Grüner Veltliner, Gewurztraminer, Pinot Bianco, Müller Thurgau e Sauvignon, ma sarebbe un errore sottovalutare i rossi di questa storica regione.
E sapete perché?
Perché l’altitudine, l’escursione termica e i suoli sassosi delle Dolomiti sono tutti elementi che contribuiscono a rendere i vini profumati, eleganti, fini e sottili. A parte i vini rossi che provengono dalla conca di Bolzano, caratterizzata da suoli più argillosi e pesanti, e che sono abbastanza grassi e corposi, i vini rossi dell’Alto Adige sono famosi per il loro fascino snello e la grande bevibilità.
Non dimentichiamoci che la produzione di vini bianchi è esplosa solo dopo la metà del 1900, prima il Sud Tirolo era il vigneto più caldo degli Asburgo, quello più a sud, l’unico in grado di produrre rossi di un certo corpo (Lagrein e Schiava).
Ma prima di partire a stappare bottiglie vediamo quali sono i vitigni e le tipologie più interessanti della zona. Poi parleremo di etichette singole.
Abbiamo la Schiava, sottile e nervosa, con buona acidità e finale ammandorlato.
Il Pinot Noir, la quintessenza dell’eleganza con tannini fini e profumi di sottobosco.
Il Lagrein è l’altro grande vino rosso autoctono dell’Alto Adige, ma a differenza della Schiava, è denso, dal colore intenso, ricco di estratto, molto fruttato e dotato di tannini esuberanti.
Non dimentichiamoci poi del Moscato Rosa, un beniamino locale che troverete declinato in versione secco, ma anche passito, dove dà il meglio di sé. Non troverete bottiglie incluse, perché abbiamo fatto una pagina solo i migliori di questa categoria, ma giusto per darvi un’idea del quadro generale lo citiamo lo stesso.
Chiudiamo con una dovuta menzione di due classici vitigni bordolesi, che in queste colline hanno trovato un habitat perfetto: Merlot e Cabernet Sauvignon. Non ce la sentiamo di consigliare bottiglie in particolare, la qualità media è discreta, ma non ci sono etichette per cui fare follie. Tuttavia a livello di diffusione ormai è chiaro che possono essere considerati di casa tra queste montagne.
Il vitigno a bacca rossa più diffuso è senza dubbio la Schiava, un vero e proprio caposaldo del vino altoatesino, vuoi per la grande diffusione, vuoi per il fatto che è radicato nella cultura contadina della regione. La Schiava è in grande spolvero negli ultimi anni: sono finiti gli anni dei vini anemici e slavati e dei rosati da recupero e grazie al cielo i vignaioli altoatesini si sono lanciati in produzioni di spessore, dotate di eleganza e tipicità.
Certo la Schiava non è polposo il Cabernet Sauvignon o aristocratico come il Pinot Noir, ma è un vino piacevole, profumato e dotato di ottima bevibilità. Le zone più interessanti sono la DOC Santa Maddalena dove troviamo le Schiave più sostanziose e corpose, la DOC Lago di Caldaro con paesaggi stupendi e vini di buona qualità e finiamo con la denominazione generica Alto Adige Schiava, dove la produzione è più eterogenea e frammentata.
Schiava
Partiamo dalla Schiava, ecco le bottiglie imperdibili, quelle che negli anni hanno dimostrato costanza e qualità impeccabile.
Lago di Caldaro Scelto, cantina Ignaz Niederist
Una Schiava interessante, grintosa, mai banale, dal frutto succoso e una certa ruvidità agreste che non dispiace. Sotto i 10 euro.
Lago di Caldaro Scelto, Niklaserhof
Schiava pulita, snella, elegante e ben disegnata da acidità e un filo di sapidità. Rapporto qualità prezzo unico, 7-8 euro.
Alto Adige Kalterersee Classico Superiore DOC Pfarrhof 2016
Corposa e audace, non la solita timida Schiava. Tannini evoluti, frutto appena più rotondo e sviluppato, buono slancio sapido. Finale classico con lavanda, rose e mandorle.
Santa Maddalena cantina Mayr
Bella spinta sapida, polpa con frutti di bosco. Pulita in bocca, di buona persistenza e con ottima bevibilità. Sotto i 10 euro.
Santa Maddalena Rondell, cantina Fanz Gojer
Una Schiava strutturata e fine, frutto di anni di selezioni in vigna e di un vigneto particolarmente felice. Il risultato è un vino insolitamente ricco, tanto che non fatica ad imporsi come uno dei migliori della categoria, pur restando nella fascia di prezzo dei 10 euro. Naso elegante con rosa, lamponi, muschio e uno splendido finale di mandorle e lavanda. Bocca tesa, appena più vellutata del solito. Buonissima.
Santa Maddalena Antheos 2017, cantina Waldgries
Sicuramente Christian Plattner è uno degli interpreti della Schiva più audaci e sfrontati ed è anche grazie a lui se oggi stiamo vivendo la rinascita stilistica del vitigno. Il vino base è affilato, sottile, travolgente per la sua fresca bevibilità, ma con tannini docili. Il gioiello in cantina è il Santa Maddalena Antheos, di tutt’altra stoffa. Un vino denso, evoluto, etereo a tratti, marcato da tannini decisi che imprimono sapori di liquirizia e rabarbaro al sorso, rendendolo complesso e oltremodo affascinante.
Schiava Grigia Sonntaler 2016 Kurtatsch
Da una selezione di vigne vecchie con età tra i 60 e i 100 anni, questo vino sa affascinare naso e palato con grande eleganza note eteree e floreali e grande beva. Asciutto e terroso il giusto, finale minerale. Frutto delicato. Prezzo ottimo.
Elda, Schiava della cantina Nusserhof
La Schiava che non ti aspetti: corpo, velluto, grande ampiezza dei profumi e tanta polpa. È un vino con una succosità mostruosa, tannino ambizioso che non ha paura di mostrarsi ruvido, soprattutto in questa annata 2016, ancora giovane, anche per una tipologia di vino non proprio longeva. Lavanda e fiori a non finire che si perdono nel sottobosco, frutto carnoso che va oltre i soliti fruttini di bosco, il tutto incorniciato da un’arabesco speziato notevole. Al palato è salata. Il fraseggio tra freschezza, mineralità e tannini è scorrevole e nonostante sia un vino di spessore, ha una leggerezza di sorso sconvolgente. Vino biodinamico di grande stoffa. Non stupitevi se costa 3 volte una Schiava classica, nessuno ci mette così tanto impegno (e risorse) nel farla.
Lagrein
Passiamo al Lagrein, parente molto stretto del Teroldego, che invece domina poco più a sud, in Trentino. In pratica è ubiquo, tutti lo fanno, anche solo per portare avanti la tradizione.
Il Kretzer è il rosato gustoso, semplice, terso e sempre piacevole. Ma il grande salto è stato fatto con la valorizzazione delle bottiglie più austere ed ambiziose, grazie ad un affinamento meno virulento e ragionato.
La Schiava rappresenta il passato, sicuramente è un vino interessante, tuttavia è nel Lagrein che si ripongono le speranze del futuro dell’enologia altoatesina. Generalmente la qualità dei Lagrein è discreta, difficile trovare vini scandalosi, e anche le grandi cantine sociali puntano molto su questo vino. Il rosato passa a pieni voti, sui rossi c’è da fare molta selezione. Ecco le bottiglie migliori che abbiamo assaggiato.
Lagrein Taber Riserva 2017 Cantina di Bolzano
Partiamo con l’ammiraglia della cantina sociale di Bolzano, dopo tutto siamo in Alto Adige, qui le cantine sociali sono tutto un altro mondo. Il vino è chiuso, ancora giovane e ruvido, ma non sgarbato, per nulla. La stoffa c’è e anche la personalità. Come tutti i rossi di spessore ha bisogno di 5-6 anni per evolvere. Per ora è coperto dal legno, ciononostante il frutto è avvolgente, ricco, speziato e il fraseggio tra freschezza, calore e tannini lascia ben sperare. Struttura imponente, nonostante gli anni passati in barrique. Tra i più ambiziosi.
Lagrein Quirein 2016, cantina Pranzegg
Una bomba di vino rosso: fruttatissimo e sontuoso, ricco, ma con acidità graffiante. È pieno di estratto e personalità, offre uno spaccato meraviglioso con mille spunti. Tutto è esaltato all’ennesima potenza: prugne e ciliegie sotto spirito, note speziate che ti prendono come in un turbine, tannini potenti che ti frustano con liquirizia e rabarbaro e poi pepe e cioccolato. Non ci sono sbavature, è molto denso, ma ha personalità e naturalezza di beva, nonostante la struttura imponente. Il più carismatico di tutti quelli assaggiati.
Lagrein Riserva 2015 Fliederhof
Il base 2016 è profumato, sa di bosco e pepe e ha corpo ben bilanciato da acidità e buono slancio sapido. La riserva 2015 è compatta, ancora chiusa, ma già ben impostata. La polpa è tanta, i tannini scalpitano, ma il frutto è rotondo e già evoluto e mostra terziario elegante. Nel complesso sono due buone bottiglie, la riserva ha bisogno di qualche anno per smaltire un po’ di rovere e trovare equilibrio, ma è un vino deciso.
Lagrein 2016 Glohhlof
Della Schiava ne abbiamo parlato prima, ma anche il Lagrein merita per la prestanza. È molto classico, pulito, con un varietale netto e non marcato dal legno. Struttura, tannini e frutto avvolgente sono ben accompagnati da una beva fresca che sdrammatizza. Buona bevibilità.
Lagrein 2016 Griesbauerhof
Frutto maturo, ma mai marmellatoso, si muove con passo agile per essere un vino così corposo. La struttura è ampia, ma ben disegnata, l’estratto non è da inchiostro puro, anzi lascia spazio a bevibilità e ad un ritmo che solletica. Pur essendo poderoso, gioca con la leggerezza. Un vino rosso goloso, ottimo poi se considerate il prezzo sotto i 15 euro.
Gran Larey, Lagrein riserva 2016
Non subito facile. Ha un piglio selvatico con goudron e tannini che picchiano duro, ma nel complesso mostra tipicità e ha profumi che ti fanno immergere in un roseto, poi in un bosco e infine in un vasetto di ciliegie sotto spirito in fiamme. Ha molto da dare, tanto frutto, tanto fumo, tanti profumi terrosi e un corpo che si abbandona al piacere nel bicchiere. Ma è ancora scomposto, l’acidità scalpita e non aiuta lo sviluppo dei tannini. Sono difetti di gioventù, con qualche anno di affinamento diventerà un bel cigno. Per ora è stimolante, ma ancora gli manca un baricentro stabile. Il coraggio non gli manca, è un vino senza paracadute, ma come tutti i vini senza veli ha bisogno di tempo. Dateglielo e vi saprà ripagare.
Lagrein 2017 Messnerhof
Terso, ben disegnato da un tannino austero e grenitico. Si muove con grazia nonostante una massiccia ricchezza estrattiva. Tannino deciso, ma ben integrato nelle splendide note di frutti di bosco. Un bel tenebroso.
Lagrein 2017 Riserva 2016 Untermoserhof
Classico, ben bilanciato e molto pepato il vino base. La riserva offre densità, tanta polpa matura e un corredo speziato che incornicia con eleganza una buona struttura. Trama tannica vigorosa, ma elegante, nata per sfidare gli anni. Nel complesso fa il suo dovere, è molto diretto, anche se i toni speziati e pepati sono decisi e un po’ cosmetici.
Lagrein Riserva Linticlarus, Tiefenbrunner
Un grande mito dell’enologia altoatesina: un vino roccioso, pieno e molto ampio, dove struttura, tannini e buona acidità danno origine ad un succo coinvolgente, modellato da un affinamento intensivo, ma che riesce a domare tutto questo estratto. Il profilo è classico, con varietale ben scandito e discreta finezza generale. Un po’ statico a livello stilistico, ma la beva è rotonda e contagiosa. Al filo del surmaturo.
Pinot Noir
Passiamo al terzo round di degustazioni con il Pinot Nero, vero e proprio gioiello dell’Alto Adige. La sua zona prediletta è l’altopiano di Mazzon, vicino ad Egna, alla destra dell’Adige, ma anche in questo non è solo questione di terroir. Molte cantina ci provano, ma i risultati sono altalenanti e tanti si sono un po’ sclerotizzati in posizioni estetiche che sentono lo scorrere del tempo.
Pinot Nero 2016 Gottardi
A dire la verità negli ultimi anni lo stile di questo Pinot Noir è andato via via cristallizzandosi sempre di più, tuttavia rimane sempre un vino elegante e sottile. Frutti di bosco, ribes, menta, profilo aromatico classico, un po’ legnoso, ma con una mezza dozzina di anni sarà buono. Al palato non è sgarbato, è fresco, ben disegnato da tannini setosi, ma non banali.
Pinot Nero Filari di Mazzon 2016 Carlotto
Sicuramente il più vivace e territoriale delle bottiglie provate, grazie al taglio sartoriale impresso da Michela Carlotto, grande interprete italiana del Pinot Noir. Ovviamente viene da Mazzon. Naso tenebroso e oscuro, affilato, legno percepito in lontananza e grazie al cielo non copre il varietale, pronto ad esplodere in un sottobosco pieno di foglie, tartufi, muschio, felce e piccoli frutti. Al palato è sottile, pungente, elegante come deve essere il Pinot e giocato su un dinamismo sapido-acido esaltante. Giovane, ma con un brillante futuro. Discreto il Lagrein: corposo, acido, tipico, piacevole.
Pino Nero 2018 Pfitscherhof
Semplice, ma con quella scontrosa tenacia tipica del Pinot Nori. Roccioso, buona espansione aromatica, che fa il suo dovere senza acuti. Buona grinta sapida, fresco, finale con menta e terra. Non troppo complicato, ma con buona bevibilità.
Pinot Nero 2018 Sanct Valentin
Fresco, legnosetto, di buon respiro e non troppo concentrato. Il naso è ben disegnato. Al palato è giustamente amaro, fresco, un po’ troppo speziato, ma nel complesso discreto. Non il massimo dell’espressività, ma ok.
Pinot Noir 2018/Riserva 2017 Brunnenhof
Il base è terso, pulito, immediato e giocato su un buon equilibrio tra calore e freschezza. Ben finale di rabarbaro e ribes. La riserva è più audace, rotonda, mai pesante, ma bella piena per un Pinot Noir di montagna. Terziari già in sviluppo, etereo, elegante, tannini di grana fine.
Pinot Nero 2018 Pigeno/Riserva 2017 Stroblhof
Il Pigeno ha eleganza con note di arance amare e ribes, corpo snello, finale mentolato, ma ancora preso dal legno. La Riserva è più ricca, si apre ad uno sviluppo che sa alternare eleganza, decisione e grande precisione. Classico nel varietale, legno dosato con maestria, discreta acidità, manca un filo di reattività, ma è un Pinot che punta più sull’opulenza piuttosto che sulla leggiadria.
Pinot Nero 2016 Riserva Schweizer, Haas
Ogni volta che si parla di Pinot Nero altoatesino si devono fare i conti con Franz Haas, il mago del Pinot, il vignaiolo che ci ha creduto per primo e tanto ha fatto per farlo crescere. Lo stile di Haas è chiaro, netto: il Pinot nervoso va domato, ma non forzato. La differenza è sottile, ma provate ad assaggiare questo giovanissimo 2016 e capirete che la direzione stilistica di Haas predilige la finezza e una buona concentrazione. Non è un vino sottilissimo o scarico, ma abbastanza caldo, con frutto dirompente, tagliente come una falce. In bocca è ampio, pungente, dominato da freschezza, tannini molto terrosi e fiori secchi. Finale di menta splendido. Il base è più immediato, ma meno immaginifico. Grande interprete in ogni caso.
Pinot Nero 2015 Linticlarus Tiefenbrunner
Ancora la cantina parliamo della cantina Tiefenbrunner, poiché il loro Pinot merita un assaggio, non fosse solo per l’audacia e la sfrontatezza di questo vino. Non vuole essere efebico o sottile, anzi come è nello stile della cantina ti assale con tutta la sua ricchezza aromatica portata all’estremo. In ogni caso rimane fresco, molto tannico e non scade mai nella marmellate e nell’eccesso del fruttato stracotto.