Vini di Romagna, perché dovreste berli?
Molto semplice, perché il vino romagnolo non è trendy. Non esiste una colossale macchina del marketing che macini milioni di bottiglie in Romagna. La Romagna, a parte la Riviera—un dorato mondo a sé stante—ha un fascino nascosto, quasi naif, sincero, non contaminato da logiche commerciali. E questo è il primo motivo per cui dovreste bere vino romagnolo: chi fa il vino in Romagna lo fa perché spinto dalla passione per questa terra o perché erede di una dinastia di viticoltori e spesso le due cose tendono a coincidere.
Non siamo a Bolgheri, i terreni in Romagna non rappresentano ancora un investimento goloso per qualche oligarca russo che decide di intraprendere la carriera di vignaiolo o desidera diversificare il proprio portafoglio finanziario. Anche se, considerati i prezzi della terra relativamente contenuti e le potenzialità, non sarebbe affatto un cattivo investimento.
Non si diventa vigneron per caso: per fare vino di qualità serve tanta pazienza, le vigne devono essere in collina e richiedono un costante impegno nei campi, manutenzione, duro lavoro, attese snervanti, per quanto alla fine i risultati ripaghino di tutte le fatiche. Per cui siate certi che il vino fatto da questi vignaioli è caratteristico, figlio di un genuino desiderio che nasce dalla tradizione o dall’amore, in ogni caso con questi presupposti i risultati, prima o poi, arrivano.
Il complesso di inferiorità nei confronti del vino toscano sta svanendo. Finalmente si è capito che la Romagna ha suoli in grado di dare origine a vini di carattere che parlano un linguaggio proprio. Non si insegue più la Toscana o lo spasmodico affinamento in barrique con dei Sangiovese Riserva intossicati dal legno, ma si tende a produrre vino con legame con il proprio territorio, e molto spesso i vini sono biologici o biodinamici. Ancora terroir, perché mai come in questo caso capita a proposito. Dopo anni di selezione dei cloni, di accurate analisi dei terreni per scegliere i vitigni più adatti e di una presa di coscienza tecnica da parte dei vignaioli, è il terroir a parlare, non le mode.
Romagna pride
La Romagna vanta un discreto numero di vitigni locali: il Sangiovese—conteso con la Toscana, ma pur sempre riconducibile all’Appennino Tosco Romagnolo—l’Albana, il Famoso, il Centesimino, l’Uva Ruggine. Ognuno di questi vitigni ha caratteristiche particolari che meritano di essere scoperte e rappresentano un piacevole diversivo dai soliti Chardonnay-Pinot Nero-Cabernet Sauvignon.
Solo un paio di esempi. Il vitigno chiamato Famoso è praticamente sconosciuto, eppure potrebbe essere il nuovo Pinot Bianco: prezzo contenuto, grandissima aromaticità, fiori, agrumi elegantemente scanditi da un’acidità decisa, ma piacevole.
Oppure il Centesimino, un grande vitigno a bacca rossa, un campione di freschezza e suggestioni floreali, con un tannino talmente morbido da risultare quasi impalpabile. Eccezionale se abbinato alla carne, agli arrosticini, ma ottimo anche per le marinature orientali in cui sono presenti salsa di soia e succo di pera nashi, vedi Bulgogi e Galbi coreani.
Ultima nota. Piccolo è bello, ma non necessariamente meglio, quando si parla di vino. Meglio evitare generalizzazioni, non sempre la piccola cantina a gestione familiare sforna capolavori e la grande cantina sociale produce bottiglie mediocri, però sappiate che non siamo in Alto Adige, per cui non aspettatevi cantine sociali in stile San Michele Appiano… Certo, non è detto che produrre sotto la soglia delle 80000 bottiglie sia garanzia di qualità assoluta, tuttavia è innegabile che gran parte del fascino delle cantine romagnole sia la dimensione umana. I vignaioli sono ancora il volto e l’anima della cantina: l’esito dell’annata dipende da loro, dalle scelte compiute tra i filari e questo conferisce al vino romagnolo personalità, quel fascino misterioso che ci spinge a fantasticare sul vino. E la differenza si sente.