Dimenticate gli hotel di lusso: il vero viaggio è nei borghi abbandonati!
Un hotel che non si vede, un’esperienza che trasforma interi borghi in luoghi di ospitalità diffusa e autentica. Gli Alberghi Diffusi compiono 20 anni e il loro modello, nato in Italia, sta conquistando il mondo. Dal Friuli alla Svizzera, fino al Giappone e al Ruanda, il concetto di ospitalità diffusa si sta espandendo, con oltre 300 strutture attive in tre continenti.
A raccontare questo successo è Giancarlo Dall’Ara, presidente dell’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi, che il prossimo 24 marzo a Matera presenterà dati e prospettive del settore in un convegno dedicato. Ma cosa rende questo modello così vincente? E perché sempre più Paesi lo stanno adottando?
Cosa sono gli Alberghi Diffusi?
Il concetto è tanto semplice quanto rivoluzionario: trasformare un borgo in un hotel senza costruire nulla di nuovo, recuperando edifici esistenti e creando un sistema di accoglienza che valorizza il territorio. In pratica, gli ospiti alloggiano in case storiche ristrutturate, disseminate nel centro abitato, ma con i servizi di un albergo tradizionale, come reception, ristorazione e assistenza turistica.
Un modello che coniuga turismo sostenibile e riqualificazione urbana, ridando vita a borghi abbandonati e creando opportunità economiche per le comunità locali.
Il boom degli Alberghi Diffusi: numeri e tendenze
📈 300 strutture attive in 9 Paesi tra Europa, Asia e Africa.
🏡 Il 60% ha un ristorante interno, valorizzando la gastronomia locale.
👷 Generano posti di lavoro stabili, con 5-6 dipendenti fissi per struttura, più stagionali.
♻️ Il 66% utilizza materiali di recupero e arredi naturali, promuovendo la bioedilizia.
🌱 Il 90% è aperto più di 10 mesi l’anno, garantendo turismo destagionalizzato.
🇩🇪 I turisti stranieri superano gli italiani, con Germania e USA tra i principali mercati.
Un altro dato interessante: l’80% delle strutture sensibilizza gli ospiti al risparmio energetico, riducendo consumi e impatto ambientale.
Dall’Italia al mondo: come si sta espandendo il modello?
L’Italia è stata la culla di questo modello, ma oggi gli Alberghi Diffusi parlano molte lingue. La prima espansione è avvenuta in Svizzera, poi in Giappone e Ruanda, fino a raggiungere 9 Paesi in 3 continenti.
Curiosamente, chi adotta questo sistema è invitato a mantenere il nome in italiano, rendendo il concetto di “Albergo Diffuso” un vero e proprio marchio di qualità internazionale. “Se fossimo una catena alberghiera – spiega Dall’Ara – saremmo la più grande al mondo”.
Un antidoto all’overtourism e alla crisi immobiliare
Uno dei problemi più gravi del turismo moderno è l’overtourism, ovvero il sovraffollamento delle destinazioni più famose, che porta a prezzi esorbitanti e degrado urbano. Gli Alberghi Diffusi offrono una soluzione concreta, portando il turismo nei piccoli centri, decongestionando le città d’arte e offrendo ai viaggiatori esperienze più autentiche.
Ma non solo: questo modello riduce la pressione immobiliare nelle città turistiche. “Più borghi verranno recuperati – sottolinea Dall’Ara – più appartamenti torneranno disponibili per i residenti nelle grandi città, contribuendo a risolvere il problema delle case per turisti”.
Dal terremoto del Friuli al futuro del turismo: la storia di un’idea vincente
L’idea di trasformare borghi abbandonati in hotel diffusi nasce nel 1976, dopo il terremoto del Friuli. In molti centri colpiti, intere comunità furono costrette ad abbandonare le proprie case. Negli anni ‘90, Giancarlo Dall’Ara fu chiamato a trovare una soluzione per ripopolare questi luoghi.
Così nel 2005 a Rimini, il modello dell’Albergo Diffuso venne presentato ufficialmente, e nel 2006 nacque l’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi. Da allora, è diventato un esempio di turismo sostenibile studiato in tutto il mondo.
Le prime regioni italiane a investire in questo modello sono state Sardegna e Molise, ancora oggi tra i territori con il maggior numero di strutture attive.
Un futuro sempre più diffuso?
Gli Alberghi Diffusi non sono solo una moda, ma una vera evoluzione del turismo esperienziale, capace di unire cultura, sostenibilità e sviluppo economico. Il loro successo dimostra che il futuro dell’ospitalità non è fatto di nuovi hotel, ma di borghi recuperati.
Ma la vera domanda è: sarà sufficiente questo modello per rilanciare i borghi italiani in via di spopolamento? O serviranno anche incentivi governativi e investimenti per rendere questi luoghi più vivibili per chi ci abita tutto l’anno?
