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Fillossera, il flagello invisibile della vite: perché ne parliamo ancora?

Posted on Nov 4th, 2025
by Alfredo Ravanetti
Categories:
  • Glossario del vino
Fillossera cosa è e cosa ha causato questo afide

Nel XIX secolo la viticoltura europea affrontò una crisi senza precedenti a causa della fillossera, un minuscolo afide originario del Nord America. L’insetto arrivò accidentalmente in Europa attorno al 1863 attraverso barbatelle di viti americane importate (come le varietà Isabella e Catawba) e trovò nei vigneti europei un habitat ideale. In pochi decenni, tra il 1870 e il 1900, la fillossera si diffuse a macchia d’olio provocando la morte di piante su scala massiva e portando al collasso la produzione di vino in paesi come Francia e Italia. I vitigni europei (Vitis vinifera) erano totalmente vulnerabili ai suoi attacchi radicali: l’afide pungeva le radici, formava galle nodose e in breve comprometteva la capacità della pianta di assorbire acqua e nutrienti, conducendola alla morte. La disperazione fu tale che vennero tentate soluzioni drastiche: si provò a allagare o insabbiare i vigneti per soffocare il parassita, notando che in terreni molto sabbiosi la fillossera faticava a sopravvivere.

La devastazione fu apocalittica e repentina anche perché all’epoca si ignorava del tutto la biologia del nuovo flagello. La fillossera ha infatti un ciclo vitale complesso e all’epoca misterioso: sulle viti americane compie sia una fase sulle foglie (con galle visibili) sia una fase sotterranea sulle radici, mentre sulle viti europee l’insetto attacca quasi solo le radici (le foglie di V. vinifera non reagiscono alle punture, quindi non mostrano galle evidenti). Ciò rendeva l’infestazione “invisibile” sino agli stadi avanzati, quando le piante cominciavano a deperire senza rimedio. Interi territori vitati furono annientati: si calcola che oltre l’80% dei vigneti europei venne colpito, con conseguenze economiche e sociali drammatiche. Si parla di un vero spartiacque storico: il periodo prefillosserico e quello postfillosserico, a indicare che nulla fu più come prima nella viticoltura dopo questa epidemia.

La soluzione dei portinnesti americani e la rinascita dei vigneti

Dopo vari tentativi fallimentari, la svolta arrivò grazie a un’intuizione agronomica rivoluzionaria. Alcune specie di vite originarie del Nord America (come Vitis riparia, V. rupestris e V. berlandieri) avevano coevoluto con la fillossera e si erano adattate ai suoi attacchi radicali, risultando tolleranti: le loro radici reagiscono poco alle punture dell’afide, limitando i danni. Da questa scoperta nacque l’idea di innestare le viti europee su radici americane resistenti. Ampelografi come il texano Thomas Munson selezionarono portinnesti americani adatti ai terreni europei, e nel giro di alcuni anni tutta l’Europa viticola avviò la laboriosa opera di reinnesto dei vigneti distrutti. Entro l’inizio del XX secolo, grazie ai portinnesti, la fillossera venne finalmente arginata e la viticoltura poté risorgere. Ogni barbatella “bimembre” (piede americano innestato con varietà europea) restituiva la possibilità di coltivare ancora i vitigni tradizionali salvandoli dall’estinzione. È in questo periodo che molte antiche varietà minori andarono comunque perdute, perché non tutte vennero reinnestate: la ricostruzione dei vigneti favorì infatti i vitigni più diffusi o economicamente importanti, segnando la scomparsa di numerose uve locali. La fillossera cambiò così anche la geografia ampelografica del Vecchio Continente, oltre alle tecniche colturali.

Nasceva la viticoltura moderna: l’uso sistematico del portinnesto divenne la norma ovunque (fatte salve rare eccezioni), e parallelamente si svilupparono nuovi approcci fitoiatrici anche per altre minacce arrivate in quel periodo. La lezione della fillossera – per quanto dolorosa – portò infatti a una maggiore consapevolezza sui rischi fitosanitari globali, spingendo la ricerca scientifica verso soluzioni innovative e collaborative tra i paesi. La Francia, la più colpita inizialmente, istituì sin dal 1869 commissioni di studio e scuole di viticoltura per diffondere la pratica dell’innesto e condividere conoscenze sui vitigni resistenti. In pochi decenni, l’innesto su piede americano venne adottato ovunque: ancora oggi quasi tutte le viti del mondo sono franche di piede solo per la parte aerea (europea), ma con radici americane. Questo stratagemma agronomico – un vero “ibrido” viticolo – salvò l’industria del vino globale e mise fine all’incubo della fillossera dilagante.

La fillossera oggi: presenza attuale e aree ancora colpite

Oggi la fillossera è ancora presente in praticamente tutte le regioni viticole del mondo. Dopo la pandemia ottocentesca, l’insetto si è naturalizzato nei nostri ambienti: sopravvive nel terreno e su eventuali viti spontanee o ornamentali, ma nei vigneti innestati non provoca più stragi come un tempo. La quasi totalità dei vigneti europei ed extra-europei è impiantata su portinnesti americani proprio per convivere col parassita in modo sicuro. Fanno eccezione i vigneti in zone rimaste storicamente fillossera-free per condizioni naturali o geografiche particolari: celebre è il caso del Cile, mai raggiunto dall’afide grazie all’isolamento naturale delle Ande e del deserto (tuttora le viti cilene crescono su piede franco). In Europa, alcuni territori sabbiosi o isolati riuscirono a evitare l’infestazione o a limitarla fortemente. Ancora oggi esistono vigne a piede franco (senza innesto) in zone come l’isola di Santorini in Grecia, le Isole Canarie, l’Etna in Sicilia, parte della Sardegna sud-occidentale e alcune aree costiere o montuose d’Italia (esempi noti sono i vigneti nelle sabbie del Bosco Eliceo nel ferrarese e alcuni cru sull’Etna e in Valle d’Aosta). In questi luoghi speciali, la fillossera non ha mai potuto prosperare – spesso grazie a suoli vulcanici o sabbiosi che ne impediscono i movimenti – permettendo la sopravvivenza di viti pre-fillosseriche ultracentenarie.

Va però sottolineato che la fillossera rimane endemica ovunque abbia attecchito: anche nei vigneti innestati, il parassita può essere presente nel suolo e sulle radici dei portinnesti (dove di solito causa danni trascurabili, essendo questi ultimi tolleranti). La situazione odierna è dunque di equilibrio: il flagello non è stato eradicato, ma convive con la viticoltura moderna in forma controllata. Tuttavia, di tanto in tanto si registrano casi di focolai che destano preoccupazione. Ad esempio, negli ultimi anni, viticoltori in varie regioni italiane (dal Veneto alla Toscana all’Abruzzo) hanno segnalato insolite infestazioni di fillossera sui tralci e sulle foglie di viti europee, con comparsa di galle fogliari e indebolimento produttivo delle piante. Questo fenomeno era considerato estremamente raro su V. vinifera (le cui foglie di solito non presentano galle), ma sta tornando alla ribalta.

Un caso emblematico è avvenuto nelle Isole Canarie, territorio rimasto indenne alla fillossera per oltre un secolo: nel 2023 è stato individuato per la prima volta un focolaio attivo nell’isola di Tenerife, con piante sintomatiche nella zona viticola di Tacoronte-Acentejo. Le autorità locali hanno reagito immediatamente creando zone di quarantena, bloccando il movimento di uve e materiali vegetali tra diverse zone e avviando misure di eradicazione (estirpazione delle viti infette, disinfestazione dei suoli, etc.) per cercare di circoscrivere l’infestazione. Questo episodio dimostra che la minaccia fillossera, pur sotto controllo, aleggia ancora e può riemergere in contesti insospettabili se favoriscono il suo arrivo o una sua nuova propagazione. In Italia e nel resto d’Europa continentale, dove l’afide è già diffuso ovunque, più che di nuovi arrivi si parla di recrudescenze locali: tipicamente, si tratta di vigneti trascurati o vicini a vite americana spontanea, dove la fillossera riesce a completare anche la fase sulle foglie e a moltiplicarsi più del normale, finendo poi per migrare anche sulle viti coltivate circostanti. Fortunatamente, i danni gravi rimangono isolati e contenuti. Ad oggi non si documentano perdite di massa come nell’Ottocento, ma singoli vigneti possono subire cali di produzione quando la presenza di fillossera sulle foglie è massiccia. L’attenzione quindi non va abbassata: la fillossera è silente ma onnipresente sotto i nostri piedi.

Monitoraggio e prevenzione: progetti europei e strategie attuali

Dopo la lezione storica imparata a caro prezzo, l’Europa adotta oggi rigorose misure di prevenzione fitosanitaria per evitare nuove ondate di infestazione o l’introduzione di ceppi più aggressivi. I movimenti di materiale di propagazione (barbatelle, marze, talee) sono sottoposti a controlli e certificazioni: i servizi fitosanitari nazionali ed europei vigilano per impedire che piante infette vengano trasportate da aree contaminate a zone indenni. A livello comunitario la fillossera figura da tempo nelle liste degli organismi nocivi da quarantena, e programmi come Euphresco e progetti Horizon 2020 hanno finanziato ricerche per il suo monitoraggio e controllo integrato. Ad esempio, uno studio internazionale pubblicato nel 2020 ha sequenziato l’intero genoma della fillossera, rivelando preziose informazioni sulla variabilità genetica delle popolazioni europee e sulle loro rotte d’invasione. Comprendere il corredo genetico dell’afide aiuta a tracciare le differenze tra biotipi e potrebbe fornire bersagli molecolari per future strategie di difesa (come RNA interferente o altre biotecnologie mirate). Inoltre, progetti di ricerca congiunti tra istituti vitivinicoli (dalla Francia all’Austria all’Italia) stanno analizzando la struttura genetica delle popolazioni di fillossera nei vari terroir, al fine di capire se stiano emergendo ceppi nuovi, più aggressivi o più adatti ai cambiamenti ambientali. Queste conoscenze alimentano banche dati condivise e linee guida per allertare i viticoltori sulle zone a rischio.

Sul fronte del monitoraggio sul campo, si stanno sperimentando tecnologie agronomiche avanzate. In alcuni vigneti pilota sono stati installati sensori nel terreno capaci di rilevare precocemente anomalie nelle radici o nei flussi di linfa che potrebbero indicare un attacco di fillossera. L’uso di droni e camere multispettrali permette di sorvegliare dall’alto vaste superfici e individuare filari con sintomi di sofferenza radicale o fogliare prima che siano evidenti all’occhio umano. Riconoscere per tempo le piante colpite consente interventi localizzati (ad esempio trattamenti chimici mirati sulle ceppaie infestate) evitando la diffusione dell’afide alle viti vicine. In Italia, il CREA e varie università stanno mettendo a punto anche trappole adesive e metodi di cattura per monitorare l’eventuale presenza di forme alate della fillossera, che potrebbero volare e colonizzare nuovi areali. Non da ultimo, la sensibilizzazione dei viticoltori è fondamentale: molti consorzi e istituzioni hanno avviato campagne informative affinché in vigna si effettuino regolarmente controlli dei ricacci dei portinnesti (polloni selvatici che nascono dal piede americano). Questi ricacci, se non eliminati, sviluppano foglie di vite americana su cui la fillossera può formare galle e moltiplicarsi indisturbata, diventando serbatoi d’infestazione pronti a contagiare anche la chioma delle viti europee innestate sopra. Una buona pratica di gestione oggi prevede quindi di rimuovere i getti basali dei portinnesti e mantenere pulito il sottofila.

A livello europeo si assiste anche a un rinnovato interesse nel miglioramento delle normative fitosanitarie: dopo oltre un secolo dalla prima invasione, l’obiettivo è armonizzare le procedure di quarantena per qualsiasi materiale vivaistico sospetto e investire in vigilanza attiva. L’epidemia recente di fillossera a Tenerife, ad esempio, ha portato la Spagna (e la UE) a rafforzare i controlli doganali su uve, talee e persino macchinari agricoli provenienti da zone infette, per evitare che l’afide viaggi nascosto in frammenti di radice o in terra aderente agli strumenti. In parallelo, l’Unione Europea finanzia progetti di sviluppo rurale che incoraggiano pratiche agronomiche preventive: rotazioni di impianto (evitando reimpianti immediati su terreni colpiti, dove il parassita può sopravvivere nel suolo), disinfezione delle barbatelle tramite acqua calda o trattamenti ecocompatibili, e cooperazione transnazionale nella sorveglianza dei parassiti della vite. In sintesi, l’Europa odierna affronta la fillossera non più con l’emergenza degli avi, ma con un approccio di gestione integrata: ricerca scientifica, innovazione tecnologica e rigore nei controlli sono le armi per tenere questo vecchio nemico sotto chiave.

Cambiamento climatico: che impatto avrà sulla fillossera?

Il clima che cambia aggiunge un ulteriore elemento d’incertezza nella dinamica fillosserica. Temperature medie più alte, inverni meno rigidi e stagioni vegetative prolungate possono rendere l’ambiente più favorevole alla proliferazione dell’insetto. Studi e osservazioni sul campo indicano che inverni miti e primavere anticipate migliorano la sopravvivenza delle uova di fillossera nel terreno, mentre estati non eccessivamente torride (addirittura relativamente fresche e umide) permettono un maggior numero di generazioni successive dell’afide durante l’anno. In pratica, con cambiamenti climatici in atto, la fillossera potrebbe completare il suo ciclo più volte e in modo più diffuso, aumentando la pressione infestante sui vigneti. Un ricercatore fitopatologo spagnolo ha segnalato, ad esempio, che negli ultimi anni l’allungamento dei cicli di tutti i fitofagi – fillossera inclusa – è un fatto concreto: nelle coltivazioni di uva da tavola del sud della Spagna, l’afide trova condizioni ideali grazie all’irrigazione continua e al caldo prolungato, tanto da causare danni significativi persino su viti innestate (le popolazioni sono così numerose da indebolire anche portinnesti tolleranti).

D’altro canto, il clima estremo potrebbe talvolta avere un effetto contenitivo naturale. La fillossera è sensibile a condizioni ambientali estreme: estati eccezionalmente secche e calde possono ridurne la sopravvivenza superficiale, mentre ondate di gelo prolungato invernale uccidono una quota di uova svernanti nel suolo. I viticoltori hanno osservato, ad esempio, che l’andamento degli attacchi di fillossera in alcuni vigneti varia di anno in anno probabilmente in relazione al clima: “annate in cui la presenza è pesante si alternano ad anni in cui quasi sparisce” – un indizio del fatto che fattori climatici straordinari (come estati molto asciutte o improvvisi cali termici) possano temporaneamente decimare le popolazioni dell’insetto. Tuttavia, il trend generale di riscaldamento globale tende più a favorire che a sfavorire il parassita, specie in zone finora marginali per la viticoltura. Con l’innalzamento delle temperature, la coltivazione della vite si sta espandendo verso latitudini e altitudini prima inospitali: regioni del nord Europa (Sud Inghilterra, Belgio, Scandinavia) o zone montane ora impiantano vigneti laddove decenni fa non maturavano le uve. In queste nuove frontiere enologiche, la fillossera potrebbe trovare terreno vergine da colonizzare. Anche se inizialmente tali impianti sono fatti con barbatelle certificate e controllate, il rischio a lungo termine è che il parassita accompagni l’espansione della viticoltura nel Nord e in quota, colonizzando progressivamente i nuovi areali vitati man mano che si scaldano.

Il cambiamento climatico può influire anche indirettamente. Le viti stressate da siccità o ondate di calore, ad esempio, potrebbero risultare più deboli e suscettibili ai patogeni, fillossera inclusa. Inoltre, per adattarsi al clima, i viticoltori potrebbero introdurre nuove varietà o portinnesti più adatti al caldo e alla scarsità d’acqua: bisognerà verificare che tali nuovi materiali vegetali mantengano alta resistenza alla fillossera, poiché alcuni portinnesti particolarmente resistenti alla siccità (ad esempio ibridi con Vitis berlandieri) potrebbero però avere diversa suscettibilità all’afide rispetto a quelli classici. Insomma, l’equilibrio fin qui raggiunto non è statico. Gli esperti avvertono che il rapporto ospite-parassita è dinamico e può mutare sia per evoluzione genetica dell’insetto sia per cambiamenti ambientali. Il riscaldamento globale rientra tra questi fattori: nel peggiore dei casi, potrebbe in futuro innescare un “effetto fillossera 2.0”, con ondate più aggressive in vigneti magari indeboliti da altre avversità climatiche. Non a caso, alcune voci autorevoli del settore vino (come il produttore Miguel Torres) hanno dichiarato che “il cambiamento climatico è peggiore della fillossera” in termini di minaccia per la viticoltura moderna, volendo evidenziare come oggi sia il clima impazzito il nuovo nemico principale. Ma clima e fillossera potrebbero anche giocare insieme: mantenere la sorveglianza sull’afide resta fondamentale in un contesto ambientale in evoluzione, perché sottovalutare la sua capacità adattativa sarebbe un errore storico.

Nuove soluzioni e ricerche: dai portinnesti alla lotta biologica

Mentre la fillossera convive in sordina con i nostri vigneti, la ricerca agronomica non si è fermata e anzi cerca di anticipare possibili futuri problemi. Una direttrice fondamentale è il miglioramento dei portinnesti resistenti. Quelli usati da oltre un secolo (selezioni di V. rupestris, riparia, berlandieri e loro ibridi come 41B, SO4, 1103 Paulsen ecc.) hanno dimostrato grande efficacia, ma non sono perfetti né immortali. Ad esempio, in passato alcuni portinnesti sono risultati vulnerabili a ceppi particolari di fillossera: famoso il caso del portinnesto AXR1 (ibrido con Vitis vinifera) usato in California, che negli anni ’80 fu abbandonato perché una “nuova” fillossera ne superò le difese causando gravi infestazioni. Anche in Australia recentemente sono emerse popolazioni di fillossera capaci di attaccare il popolare portinnesto 1103 Paulsen, segno che l’afide può adattarsi se il genotipo del portinnesto non è pienamente resistente. Per questo, istituti come l’Università di Davis (USA) e centri europei stanno creando nuovi portinnesti incrociando specie di vite diverse (inclusa la vite asiatica V. amurensis) per ottenere combinazioni di resistenza più robuste e magari inserire anche tolleranza ad altre avversità (siccità, calcare, salinità). Un filone di ricerca italiano, ad esempio, ha sviluppato una serie di portinnesti denominati “M” che promettono oltre alla resistenza a fillossera anche benefici sulla qualità dell’uva e sulla resilienza climatica. La strada del miglioramento genetico classico dei portinnesti è però lenta, perché serve valutare le nuove selezioni per molti anni in campo.

Parallelamente, la moderna genetica offre strumenti prima impensabili. Il sequenziamento del genoma dell’afide ha aperto la possibilità di identificare geni cruciali nell’interazione pianta-parassita. Si spera così di individuare marcatori per selezionare vite europea con maggiore resistenza intrinseca, oppure di intervenire con le biotecnologie. Un’idea futuribile sarebbe impiegare la tecnica CRISPR/Cas9 per introdurre nei vitigni V. vinifera geni di resistenza tratti da viti americane, creando piante di fatto immuni pur restando geneticamente quasi identiche ai varietali tradizionali. Questo approccio di gene editing è ancora teorico per la fillossera (e incontrerebbe per ora barriere normative in Europa), ma non è fantascienza: già oggi si studiano viti geneticamente modificate per resistere ad altre malattie come peronospora e oidio, e in futuro la fillossera potrebbe aggiungersi alla lista dei target. Un’altra frontiera di ricerca sono i vaccini vegetali o meglio gli induttori di resistenza: sostanze naturali che stimolano la vite ad attivare difese contro l’attacco degli insetti nel suolo. Su questo fronte si stanno testando estratti vegetali e bioelicitori che potrebbero fortificare le radici rendendole meno appetibili o più reattive alle punture dell’afide.

Accanto alle soluzioni genetiche, grande attenzione è rivolta alla lotta biologica. L’idea è trovare nemici naturali della fillossera da utilizzare come alleati nei vigneti. Alcuni studi europei e americani hanno individuato microrganismi promettenti: Beauveria bassiana e Metarhizium anisopliae, ad esempio, sono funghi entomopatogeni che possono infettare e uccidere afidi nel terreno. Sono già impiegati in formulati bio-insetticidi contro altri parassiti e si stanno sperimentando anche contro la fillossera (ad esempio distribuendoli nel suolo attorno alle viti). Analogamente, si sta valutando l’uso di particolari nematodi entomoparassiti del genere Steinernema: una specie ha dato buoni risultati in laboratorio penetrando nei corpi delle fillossere e sterminandole, ma resta da risolvere la consegna efficace di questi nematodi alle radici in campo aperto. Sul versante insetti predatori, va citata la scoperta in America di alcuni piccoli ditteri e coccinelle che predano le fillossere nelle galle fogliari. In Europa queste specie non sono native, ma suggeriscono che esistono antagonisti naturali specifici. Si ipotizza anche la possibilità di importare e acclimatare tali predatori, se valutati come sicuri per l’ecosistema (classico approccio di lotta biologica classica). Tuttavia introdurre nuove specie non è banale e richiede cautela. Più realisticamente, i ricercatori puntano a incrementare l’efficacia dei nemici già presenti: ad esempio favorire nell’ecosistema del vigneto gli acari e gli insetti terricoli generalisti che possano alimentarsi di uova o forme neonate di fillossera nel suolo.

Dal punto di vista chimico, oggi la difesa dalla fillossera è limitata e usata solo se necessaria. Esistono pochissimi insetticidi registrati specificamente contro la fillossera della vite (in Italia principalmente acetamiprid e spirotetramat). Si tratta di molecole sistemiche che, assorbite dalla pianta, possono uccidere gli afidi nelle galle fogliari o sulle radici. Tuttavia la loro efficacia nel contesto di infestazioni estese è parziale, e soprattutto l’uso massiccio è sconsigliato sia per motivi economici sia ecologici. Pertanto, la strategia chimica viene considerata un ultimo baluardo: da applicare localmente alla comparsa dei primi sintomi per abbattere la popolazione e prevenire danni maggiori, ma evitando trattamenti a tappeto. Le linee guida di viticoltura integrata suggeriscono infatti di intervenire prontamente alla prima comparsa di galle sulle foglie, in modo da colpire la fillossera prima che migri alle radici. In parallelo, si raccomanda di eliminare i focolai secondari (ad esempio, estirpare ceppi fortemente infestati in vigneto se isolati, per togliere fonti di propagazione). Grazie all’innesto, fortunatamente, la stragrande maggioranza dei vigneti non richiede alcun trattamento anti-fillossera per anni o decenni: un enorme vantaggio rispetto ad altre patologie che invece impongono irrorazioni costanti.

In definitiva, le nuove soluzioni allo studio contro la fillossera sono un mix di tradizione e innovazione. Si migliorano i mezzi già collaudati (portinnesti sempre più performanti), si esplorano vie ecologiche (antagonisti biologici, induttori di resistenza), e si tengono d’occhio i segnali di allarme (monitoraggi hi-tech, studi genetici) per farsi trovare preparati. La fillossera ha insegnato l’arte della resilienza: ha costretto l’uomo a stravolgere le proprie tecniche colturali, ma ha anche stimolato ingegno e cooperazione scientifica. Oggi, pur nell’ombra, continua a stimolare ricerca e miglioramento in viticoltura. L’obiettivo condiviso è che mai più si ripeta una devastazione come quella di fine Ottocento.

Confronto con peronospora e oidio: tre flagelli a confronto

La fillossera non fu l’unico nemico “esotico” ad abbattersi sui vigneti europei nel XIX secolo. Nello stesso periodo arrivarono dall’America anche due malattie fungine micidiali: l’oidio e la peronospora. Questi tre patogeni – pur molto diversi tra loro – hanno segnato profondamente la storia della viticoltura, ciascuno a modo proprio.

Oidio (mal bianco)

È un fungo parassita (più precisamente un micromicete, Erysiphe necator) che attacca parti verdi della vite, soprattutto foglie e grappoli, ricoprendole di un tipico feltro biancastro polverulento. Fu il primo ad apparire in Europa: segnalato già nel 1845 in Inghilterra, entro il 1851 dilagò in Francia e Italia provocando gravi perdite di raccolto. L’oidio indebolisce le viti ma non le uccide direttamente; rovina però i grappoli rendendoli inutilizzabili. Fortunatamente, si scoprì presto un rimedio efficace e semplice: lo zolfo in polvere. I viticoltori impararono a spolverare le viti con zolfo elementare, che è un fungicida naturale capace di bloccare l’oidio. Così, già dagli anni 1850, l’oidio divenne gestibile: restò (ed è tuttora) una malattia cronica da combattere ogni anno, ma con trattamenti regolari le perdite si contennero. In sintesi, l’oidio fu un grande spavento iniziale, ma venne domato abbastanza rapidamente. Ancora oggi l’uso di zolfi (o fungicidi più moderni) è prassi standard contro il mal bianco nelle vigne di tutto il mondo.

Peronospora (marciume fogliare)

È causata da un microorganismo oomicete (Plasmopara viticola) che colpisce foglie, grappoli e tralci erbacei, generando macchie gialle e muffe biancastre sulla pagina inferiore delle foglie e portando a necrosi e caduta delle foglie, nonché marciume degli acini. Giunse in Europa leggermente dopo la fillossera, intorno al 1878, proprio tramite viti americane importate come portinnesti o per sperimentazione. La peronospora fu devastante perché, a differenza dell’oidio, poteva distruggere l’intera pianta se non controllata: la vite defogliata completamente per più anni di fila finisce per indebolirsi e può morire. La soluzione arrivò nel 1885 in Francia con l’invenzione della Poltiglia bordolese (un mix di solfato di rame e calce), primo fungicida di contatto efficace nel bloccare la peronospora. Da allora, i trattamenti a base di rame diventarono la norma per salvare i raccolti. La peronospora, come l’oidio, si è radicata in Europa: ogni stagione umida può causarvi epidemie, ma grazie ai trattamenti antiperonosporici (rameici o sistemici di sintesi) oggi questa malattia è tenuta sotto controllo, pur comportando un notevole impegno fitosanitario. In termini di impatto storico, la peronospora contribuì – assieme a fillossera e oidio – a ridefinire la viticoltura europea di fine Ottocento, costringendo all’uso di prodotti chimici in vigna (il rame è tuttora usato in agricoltura biologica come anticrittogamico).

Fillossera

A differenza delle due patologie sopra, la fillossera non è un fungo bensì un insetto fitofago, e attacca la vite dal basso, ovvero nelle radici. Le sue conseguenze sono più radicali: dove colpisce piante su piede franco, le viti muoiono e bisogna reimpiantare su innesto. Non esistono “trattamenti” fogliari risolutivi per la fillossera come per oidio e peronospora: l’unica vera soluzione storica è stata prevenire l’attacco alle radici mediante il portinnesto resistente. In pratica, mentre oidio e peronospora si combattono spruzzando anticrittogamici sulle foglie per proteggere la vegetazione ogni anno, la fillossera si combatte agendo all’impianto, piantando viti innestate che di per sé non soccombono all’afide. Anche l’approccio temporale differisce: oidio e peronospora manifestano danni immediati sul raccolto dell’anno (muffe, acini marci, ecc.), la fillossera invece è subdola e distrugge il vigneto lentamente ma inesorabilmente. Un’altra differenza è ecologica: i funghi dell’oidio e della peronospora prosperano con umidità e piogge (sono più gravi in annate piovose), la fillossera invece predilige climi temperati e suoli compatti; curiosamente, terreni sabbiosi che sfavoriscono la fillossera invece non fermano affatto oidio e peronospora – anzi l’oidio ama ambienti caldo-asciutti. Ciò spiega perché alcune zone sabbiose (es. isole, litorali) si salvarono dalla fillossera pur continuando a combattere funghi fogliari.

Storicamente, i tre flagelli si susseguirono quasi a incastro: prima l’oidio (metà ‘800), poi la fillossera (anni ‘60-’70 dell’800) e infine la peronospora (fine ‘70 dell’800). L’Europa viticola vacillò sotto questi attacchi multipli, ma ne uscì trasformata: l’uso dello zolfo e del rame inaugurò l’era della difesa chimica, e l’introduzione dei portinnesti diede vita alla viticoltura innestata. Insieme, queste innovazioni salvarono la vite europea, ma al prezzo di cambiare per sempre il modo di coltivarla. Ancora oggi ogni viticoltore deve gestire peronospora e oidio annualmente, mentre la fillossera resta latente nel sottosuolo, tenuta a bada dal portinnesto. Si può dire che l’oidio e la peronospora abbiano insegnato a proteggere la vite dall’esterno, mentre la fillossera ha insegnato a proteggerla dall’interno (sotto terra). Tutte e tre hanno evidenziato l’importanza di una visione scientifica comune: furono infatti problemi globali (o quantomeno continentali) che richiesero risposte di portata generale. La viticoltura moderna è figlia anche di queste crisi: ad esempio, la pratica dei trattamenti in vigna e la selezione di varietà resistenti affondano le radici nelle esperienze maturate contro oidio, peronospora e fillossera fin dall’Ottocento.

In conclusione, fillossera, oidio e peronospora sono spesso citati assieme come le “trilogia” di calamità che investì la vite nell’800. Ognuna ha una natura diversa (insetto vs funghi), ma tutte arrivarono da lontano e misero in luce la vulnerabilità di un’agricoltura monospecifica come la viticoltura europea, stimolando progressi nella scienza agraria. Se la fillossera ha il primato della distruzione (ha cambiato addirittura la genetica delle viti coltivate, imponendo l’innesto), oidio e peronospora hanno lasciato in eredità l’uso sistematico di fitofarmaci in viticoltura. Il confronto tra questi patogeni ricorda ai viticoltori che la difesa della vite è un compito molteplice: occorre proteggere sia le radici sia la chioma con strategie diverse ma complementari, e che nuovi pericoli (come virus o batteri emergenti) possono comparire in ogni momento richiedendo la stessa determinazione e ingegno di allora.

Alfredo Ravanetti

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