Whisky Giapponese: che cosa è e come si produce
Il whisky giapponese pur non vantando la storia secolare dello Scotch ha stravolto ogni equilibrio con un terremoto alcolico di proporzioni bibliche. Ormai il whisky giapponese è considerato dai grandi esperti come uno dei migliori al mondo, il più elegante e sontuoso, un distillato di rara finezza. Il mitico Jim Murray ha dichiarato lo Yamazaki Sherry Cask 2013 il miglior del 2015 e le medaglie fioccano ogni anno per le prolifiche distillerie giapponesi.
Eppure il metodo produttivo di questo distillato è quello scozzese. Tanto è vero che l’inventore del whisky giapponese, il leggendario Masataka Taketsuru, andò in Scozia per studiare chimica e imparare l’arte di distillare malto e poi tornò in Giappone per fondare le distillerie Nikka. Come mai ha avuto un successo così planetario e in cosa differisce dal whisky scozzese?
Non esiste una sola ragione, i fattori in campo sono tanti: alcuni culturali, altri storici e altri ancora fisici, vere e proprie differenze climatiche che ci fanno parlare di terroir, ma tutto parte dalla sconfinata ricerca della perfezione del popolo giapponese, una ricerca di perfezione formale che applicata ad un prodotto altamente plasmabile e modellabile come il whisky ha trovato la suprema applicazione. Ogni singolo dettaglio, ogni minima variazione è stata calcolata per aggiungere una sfumatura, sfruttare una particolare condizione metereologica, il profumo delle querce giapponesi Mizunara o semplici leggi della termodinamica. Inutile girarci intorno tra whisky scozzese e giapponese è guerra, una lotta per il primato, Bourbon e Rye sono troppo diversi come DNA, non parliamo poi del Canadese che non è minimamente paragonabile. Quindi per comodità metteremo questi due pesi massimi a confronto per sottolineare le differenze e così scoprire il profilo del whisky giapponese.
Differenze tra whisky scozzese e giapponese
La prima differenza palese è il numero di distillerie: in Scozia sono 128 in Giappone 8.
La seconda differenza che salta al naso e al palato è la cura maniacale che ci mettono i giapponesi, è un punto d’orgoglio, non solo voglia di produrre distillati perfetti. Quindi un diverso approccio anche estetico che si riflette nella produzione del whisky, che può essere single malt oppure blended. In realtà quello che importa è il risultato, l’armonia, l’equilibrio, la piacevolezza, quindi diciamo che le distillerie non sono fissate con i single malt come gli scozzesi. Molti single malt delle Highlands o dello Speyside puntano tutto sulla purezza del malto, la primordiale eleganza spartana del distillato, Islay cerca il nesso la miscela perfetta tra torba e malto, mentre i giapponesi cesellano e lavorano instancabilmente con i legni. Probabilmente questa ricerca estetica è un riflesso dell’animo giapponese in perenne ricerca della pace interiore, intriso di animismo e amore per la natura. Non a caso, tre tra le più importanti distillerie, Yamazaki e la sua controllata Hakushu e anche Mars Shinshu sono immerse nella natura. Yamazaki è mastodontica, ma tutto sommersa dal verde, mentre la vera perla è la distilleria Hakushu, annidata tra le Alpi Giapponesi, ad una altitudine di 700 metri sul livello del mare, poco distante dalla città di Hokuto, e il nome dice tutto. La distilleria Mars Shinshu è stata costruita ancora più in alto, a 800 metri, a Miyada, nella prefettura di Nagano.
Ma questa particolarità non è casuale: il fatto che siano in montagna rende l’aria più leggere e fresca e quindi si abbassa la temperatura di ebollizione. Ne consegue che i profumi e i sapori sono molto più fini e sottili, floreali e soprattutto erbacei, molte delle molecole più delicate non vengono bruciate. Basta assaggiare il single malt 12 della Hakushu per immergersi in un bosco pieno di profumi.
La torba è un altro punto focale attorno a cui si gioca molto. Le distillerie di Islay, Jura, Talisker e Highland Park e altre nello Speyside ci vivono con la torba, anche per ragioni ambientali, visto che in molte isole non ci sono molti alberi da usare per alimentare i forni. I whisky giapponesi generalmente non sono torbati. Ne esistono di affumicati e anche molto come alcuni della distilleria Chichibu, ma nessuna distilleria giapponese produce unicamente torbati. Al contrario usano la torba come mezzo estetico per aggiungere un soffio elegante, ma non è uno “stile di vita”.
L’importanza del sakè per il single malt giapponese
Altra differenza abissale è di origine culturale e produttiva: l’eredità del sakè è fondamentale per i produttori giapponesi, i quali sono pionieri nello studio e produzione di lieviti. Grazie all’esperienza ultracentenaria che hanno nella produzione di lieviti, le distillerie giapponesi hanno sviluppato una conoscenza unica e approfondita. Sperimentano con svariati tipi di lieviti, li coltivano in casa e li custodiscono gelosamente e in questo modo hanno creato un arsenale gustativo-fermentativo unico e peculiare per ogni distilleria. Le distillerie scozzesi non hanno questa accortezza, anche se va detto che sul malto è ancora loro il prima, visto che i giapponesi comprano grandi percentuali di malto, soprattutto quello già torbato per produrre. Ritornando ai lieviti, questa intraprendenza ha permesso ai giapponesi di osare di più durante la fermentazione e vi riportiamo il caso della distilleria Hakushu, che fa fermentare i suoi wash anche per tre giorni, favorendo il proliferare di lattobacilli particolari, a cui si devono la freschezza e i sapori erbacei così nitidi. Emblematico il fatto che Matsushiro fosse un chimico e che la sua famiglia fosse da generazioni produttrice di sakè: la sua curiosità e la perizia tecnologica tipica dei giapponesi ha fatto il resto.
L’affinamento in legno diventa arte
Se a questa padronanza fermentativa, aggiungiamo anche un uso dell’affinamento in legno che rasenta la perfezione zen, il cerchio, anzi la botte si chiude. La cura e la venerazione che hanno per le botti è sconfina nella frenesia da collezionismo. La Yamazaki ha in giacenza solitamente non meno di 15000 botti, ognuna particolare, ex sherry, ex bourbon, usate per vari vini e poi ci sono le leggendarie botti fatte con la quercia Mizunara. Una particolare quercia che impiega 200 e passa anni per crescere fino all’età del taglio, ma che soprattutto rilascia profumi e sapori balsamici di incenso, eucalipto, anice e mirra. Se i re magi fossero dei bottai, lavorerebbero solo la Mizunara, per dire. In ogni caso è raro vedere tanta passione per l’affinamento di batch così piccoli, affinamenti tanto puntigliosi, studiati nei minimi dettagli, che variano di pochi millimetri di sapore, di invecchiamento e si compongono come dei puzzle di sapore. E non solo per i single malt, anche i blended hanno una cura e una precisione che i blend del vecchio Johnnie Walker sembrano fin troppo elementari e tagliati con l’accetta.
Ma c’è un però: le distillerie giapponesi possono permettersi questa attenzione certosina per un motivo molto semplice. Il prezzo medio dei loro whisky è sensibilmente più alto rispetto di distillati scozzesi. Se con 50-60 euro comprate una buona bottiglia di Scotch whisky, per un whisky giapponese entry level come lo Yamazaki dovrete sborsare 65-70. Il single malt 12 anni di Hakushu, strepitoso davvero, ma il prodotto di partenza costa 125 euro. Li vale sicuramente, ma siamo su fasce di prezzo totalmente diverse. Per darvi un’idea considerate i prezzi della Highland Park (strepitosa, ma non proprio regalata) ma saltando il primo step dei 12 anni, il 18 Highland (130 euro) corrisponde al 12 giapponese come prezzo.
Caratteristiche organolettiche del whisky giapponese
Non staremo di certo a sintetizzare in poche parole il gusto poliedrico di un prodotto così ampio, ma alcuni stili si possono identificare.
La distilleria Yamazaki predilige uno sviluppo rutilante, carnoso e speziato, con tanta frutta rossa, con umeboshi a non finire, ottima armonia, potenza vellutata e arabeschi floreali e ossidati che vanno a sfociare nell’umami.
Hibiki rappresenta la boutique azzimata della della Suntory, dove vengono studiati e prodotti blended eleganti e molto piacevoli, vere e proprie poesie zen, dove ogni piccolo dettaglio e sapore è dosato con grande precisione.
Il whisky Hakushu è tutto giocato sul tono verde, erbaceo, sottobosco, frutto pungente, lemongrass a iosa, frutto affilato e un tono sonnecchiante e delicato di torba a dare ritmo, spinta aromatica e spartana eleganza. La miscela tra verde e fumo è splendida, gestita in maniera esemplare.
Il whisky della distilleria Chichibu è deciso, fresco, pieno di suggestioni uniche: va dal miso ai fiori di ciliegio, al pepe di Sichuan, ai toni più ossidati con frutta secca, erbe e note ancora formaggiose dovute a lunghe lievitazioni. Sicuramente è tra le più interessanti, tradizionalmente innovativa, smonta botti e li ricrea a piacimento, mescola, osa e miscela legno e malto come se fossero alchimisti. Ma l’eleganza e la pulizia dei distillati Chichibu sono unici, grazie a coraggio e fulgida personalità.
Nikka ha stile pulito, ma da bulletto, spinge molto su potenza, intensità, ma come precisione aromatica e taglio è forse anche più pulita, meno lavorato. Non spartano, ma meno costruito rispetto al Yamazaki: anzi possiamo tranquillamente affermare che siamo all’opposto del grande concorrente di Kyoto. Più aderente allo stile del fondatore Masataka Taketsuru, un chimico, che puntava più alla purezza del distillato, in stile molto scozzese.
Quello che non il whisky giapponese è l’irruenza scozzese: non sentirete il selvaggio richiamo salato del mare e neanche quello della torba.
Storia del whisky giapponese: chi lo ha inventato?
Ci sono due figure che hanno dato via alla nascita del whisky in Giappone. Il padre spirituale Masataka Taketsuru che ha studiato, assorbito e rielaborato la tecnica e poi Shinjiro Torii che invece ha creato la prima distilleria in Giappone nel 1923, la Yamazaki, la cui azienda di distribuzione e produzione di bevande è diventata quel gigante che è la Suntory.
Partiamo dal padre fondatore del whisky giapponese, Masataka Taketsuru, che nel 1918 partì alla volta della Scozia per studiare chimica a Glasgow, deciso a scoprire tutti i segreti dello Scotch. Stiamo parlando di blended, visto che in Scozia il primo single malt è stato prodotto nel 1963 dalla Glenfiddich. Il baldo Masataka notò che il Giappone assomiglia molto alla Scozia: entrambi sono ricchi di corsi di acqua, hanno torba, sono circondati dal mare e sono verdi. Iniziò a lavorare per un paio di distillerie delle Lowlands e poi passo alla Hazelburn di Campbeltown, che diventerà la Springbank. Dopo queste esperienze decise di sposarsi e di tornare in Giappone nel 1920. Furono due anni talmente intensi che quando tornò aveva già le idee ben chiare. Fu assunto dalla Kotobukiya, la compagnia posseduta della famiglia di Shinjiro Torii, che in seguito diventerà il colosso Suntory. Shinjiro Torii capì subito il potenziale del whisky, che in realtà era già stato prodotto fin dalla metà dell’Ottocento in Giappone, ma non era diventato un prodotto di grande qualità. Così Shinjiro fondò a Kyoto, nel 1923, la prima distilleria ufficiale di whisky del Giappone, ma le idee erano di Masataka, il chimico, il filosofo del distillato, che però non era d’accordo. Infatti Masataka voleva ricreare in toto le condizioni originare scozzesi e aveva proposto di fondare una distilleria nella zona nord dell’Hokkaido, boscosa e montagnosa, dove nevica spesso. Al contrario Shinjiro, da buon mercante che pensa al rapporto guadagno-costo, scelse un posto ricco di acque, ma anche facilmente raggiungibile, in una zona ricca e popolosa. In ogni caso la Yamazaki iniziò a produrre con una filosofia accomodante, cercava di adeguare i distillati al gusto particolare del popolo giapponese.
Masataka ovviamente non fu d’accordo e così i due “divorziarono” e nel 1934 fondò la distilleria Dai Nippon Kaju K.K., a Yoichi, nell’Hokkaido, l’isola più a nord di tutto il Giappone, ma anche quella che assomigliava di più secondo lui alla sua amata Scozia. In seguito diventerà verrà venduta e diventerà la mitica Nikka.
Ancora oggi Yamazaki e Nikka rappresentano i due poli opposti della produzione di single malt del Sol Levante e come abbiamo già detto gli stili sono ancora quelli dei due fondatori. Sontuosa e ammiccante la prima, sprezzante ed eroico il secondo.
I critici potranno obiettare che quello giapponese è un clone dello Scotch. Ed è vero, ma questo clone si è evoluto nella terra dei manga, dove tradizione, pratiche millenarie e tecnologia convivono da tempo immemore, creando un substrato fertile per la crescita di un distillato unico che sta lottando ad armi pari con il colosso scozzese. Samurai contro Highlander, Tom Cruise contro Mel Gibson, una sfida d’altri tempi, ma noi intanto possiamo bere entrambi e goderne senza pregiudizi.
Come si beve il whisky giapponese
Qui si apre una parentesi spinosa, ma che va esaminata ancora una volta per capire quanto amore i giapponesi ripongano nei cerimoniali e nell’attenzione delle forme, anche sociali. Il whisky si beve sempre senza ghiaccio, altrimenti il palato perde sensibilità, al massimo con un goccio di acqua per far emergere i profumi floreali e fruttati più delicati. Tuttavia in Giappone la cerimonia del whisky è diventata arte ed esistono dei bartender che sono maestri nello scolpire il ghiaccio con lamette, rompighiaccio e coltelli. Vale la pena di vederli in azione, sono spettacolari, ma ciò non significa che dobbiate congelare un bicchiere da 60 dollari per assistere allo spettacolo.