Tutto quello che dovete sapere sui Vini Naturali: che cosa sono e chi sono i migliori vignaioli
Oggi ci concentreremo sui vini naturali, croce e delizia degli appassionati. Ormai è un treno che sta andando a tutto vapore e molti vignaioli ci stanno saltando sopra, proponendo vini senza solforosa oppure producendo metodi ancestrali o addirittura rivoluzionando la propria produzione.
Il mese scorso c’è stato Vinessum, una piccola fiera del vino naturale che ogni anno cresce sempre di più come numeri e qualità e così abbiamo colto la palla al balzo, per parlare di questo argomento così controverso e torbido.
Siamo sinceri, da appassionati amiamo i vini naturali, in teoria prodotti dove non ci sono pratiche di cantina intrusive, si pratica il non interventismo controllato, si prende ciò che la natura ha dato in vigna (dove grazie alla cure del bravo contadino si è ricreato un microcosmo dove c’è vita e biodiversità) e si traduce tutto questo il più naturalmente possibile, usando sensibilità e capacità tecnica come strumenti di interpretazione.
Tutto molto bello, ma se fate un giro alle solite fiere di vini naturali dopo un grande vino, e facciamo pure i nomi di Occhipinti Arianna e Andrea, La Castellada, Princic, Radikon, Ca del Vent, Eugenio Rosi, Patrick Uccelli, Praesidium, La Stoppa, Babini, trovate esposti senza pudore altri vini fin troppo claudicanti, con volatili che svolazzano come Pindari sotto LSD e brettanomiceti portati in palmo di mano, come se fossero un vanto dal rustico afrore a cui non si può dire di no.
Ma se propinate un vino difettoso e lo chiamate vino naturale per giustificate i suoi difetti, allora come appassionato posso sorridere, sputare e raggiungere il banchetto successivo, ma come consumatore mi sento poco tutelato, per non dire preso per i fondelli e il vino naturale non è più così trasparente.
Ovviamente la selezione naturale screma e falcia gli inetti e gli improvvisati, tuttavia l’ombrello protettivo della sigla “vino naturale” perde di credibilità se non si dà una regolata.
Il vino naturale non esiste
E a questo punto ci chiediamo: esiste davvero il vino naturale e ha senso chiamarlo in questo modo? Esiste, ma chiamarlo vino naturale primo è un inganno per i consumatori e secondo è scorretto e avvilente, visto che è una delle opere più squisite dell’ingegno umano in concerto con la natura. Ne abbiamo parlato in occasione della prova d’assaggio di un grande vino naturale, il Ponte di Toi di Stefano Legnani.
Una delle ultime frasi di un vignaiolo barbuto che mi hanno colpito di più durante Vinessum è stata: “Io non faccio niente, raccolgo l’uva, la pigio e poi lascio fare tutto al vino, deve fare il suo corso…”
“Quindi tu sei uno spremitore, non un vignaiolo… Non poti, non vanghi, non pianti favino, non scegli dove vinificare e se controllare o no le temperature.”
“Beh, certo che poto e vango…”
Il non interventismo diventa giustificazione per la mancanza di tecnica, intensa come perizia, come esperienza, come “manico”. Perché se il suo lavoro è solo quello di spremere posso comprare l’uva alla Coop e farmi il vino da solo. Senza considerare che in questo modo il ruolo del vignaiolo viene sminuito e diventa accessorio. Quando in realtà la bellezza dei vini naturali è al contrario la complessità del vino, la sua personalità, le sfumature che vino sa assumere, la sua aderenza ad un territorio, ma anche alla sensibilità di un poeta della terra…
Ma il problema è semantico: per persone come queste il vino naturale deve essere libero e non si rendono conto che anche non scelte sono sempre scelte che marchiano il vino. Ma la trasparenza e la correttezza verso il consumatore scivola in secondo piano. Sarà un caso però che non troverete vini clamorosamente difettosi tra gli associati di Vinnatur?
Loro si sono dati uno statuto, una definizione coerente e credibile anche per presentarsi sul mondo del mercato in maniera cristallina. Altrimenti ha ragione il ragazzo (non ricordo il nome, chiedo scusa) dell’Insolente, che saggiamente ha detto: “Facciamo vini che piacciono a noi, così se non li vendiamo li beviamo noi!” Simpatica uscita, anche se i loro vini erano buoni. Certo spigolosi, altri duri che erano più un pugno in faccia che un piacere, ma fatti con cura e senza usare la scappatoia del naturale per giustificare il puzzo di stalla.
Lasciamo da parte per un attimo i vini dei grandi vignaioli che lavorano in maniera impeccabile da anni e i cui vini non hanno un’ombra di difetti, ecco se li escludiamo da questo pensiero, il dramma del vino naturale è che si sta già sclerotizzando, incanalandosi in un binario di banalità, di estetica di origine baconiana del bruttarello, ma sano. Molti vini si assomigliano terribilmente, si tende alla bidimensionalità del gusto, si sta democratizzando il vino o meglio il processo del vino, come se fosse un pratica che viene naturale…
Sinceramente un vino deve essere prima di tutto piacevole, non perfetto, non stilizzato certo, ma il carattere e la “genuinità” non devono andare a discapito del piacere. I due casi più emblematici sono Denavolo (Armani) e Paolo Francesconi, due vignaioli colossali che producono vini di grande profondità, eleganti, ambiziosi, ma con un piccolo problema.
Non sono mai pronti, servono degli anni in bottiglia per trovare equilibrio e sviluppare tutto il loro fascino. Ci sta, il tempo porta consiglio, i loro vini hanno spigoli o anche sbavature, ma con il tempo tutte le rughe si distendono.
Altri invece vogliono vendere etichette hipster e puzzette, ma nascono da condizioni insostenibili e non diciamo fregnacce: i brettanomiceti e gli odori di stalla non sono pregi o tipicità.