Vino: che cosa è, come si produce e quando nasce
Che cos’è il vino?
Il vino per la legge europea è definito come il risultato della fermentazione dell’uva, del succo d’uva, succo che viene ricavato dalla spremitura dei grappoli, i quali sono a loro volta naturalmente ricchi di zuccheri fermentabili (fruttosio e glucosio), che poi verranno trasformati dai lieviti.
Il ciclo annuale della vigna
Il ciclo è lineare e si ripete ogni anno, si tratta di un processo simile per tutte le piante da frutto, grazie alla fotosintesi clorofilliana la vite trasforma acqua, sali minerali, fosforo e nutrimenti in linfa vitale (zucchero) per crescere. In inverno si pota e lì si decide che forma avrà la pianta e quante gemme, a primavera quando la temperatura sale le prime gemme si schiudono, ricrescono le foglie, arriva la fioritura dopo almeno una cinquantina di giorni.
C’è l’impollinazione, un altro momento fondamentale: un eccesso di piogge potrebbe causare la colatura, la riduzione dei fiori e quindi meno frutti. A giugno il grappolo ha preso forma con gli acini, che sebbene verdi, sono già formati e distinti.
In estate i grappoli si inturgidiscono, crescono e si colorano (invaiatura) fino a quando non arriva il periodo della vendemmia. Se producete spumanti vi serviranno uve molto acide, quindi poco mature e già a fine agosto vendemmierete, se producete Nebbiolo, un vitigno che tarda a maturare, la vendemmia sarà rimandata a ottobre-novembre, con la nebbia a farvi compagnia.
Il vino è il risultato della fermentazione dell’uva
Questo è il vino, non è magico, non è misterioso, ma solo il frutto di una semplice fermentazione, un volta era un alimento, oggi oggetto di venerazione. Ma attenzione, potete fare fermentare anche albicocche o pesche o ananas, una pratica forse aberrante per la nostra cultura che da sempre si basa su un consumo quasi sacrale del vino, ma che esiste in tutto in mondo, dove i cosiddetti fruit wine sono molto comuni.
Vi diciamo questo per demistificare il vino, per togliere ogni velleità poetica: i bravi vignaioli non lasciano nulla al caso, neanche i produttori di “vini naturali”, ad ogni azione corrisponde una reazione e tutto è studiato. Dove, come e quali vitigni piantare, analisi del terreno, presenza di un fiume, del mare, la densità dei ceppi, l’esposizione: tutto questo è riassumibile nel concetto di terroir. Ossia le condizioni che caratterizzano un dato pezzo di terra.
Perché la Côte d’Or è la mecca del Pinot Noir? Per via del misto di marne di origine marine, ciottoli, calcare e fossili marini che si sono alternati con il passare dei secoli. Ma anche l’esposizione, l’altitudine, le nebbie che aggrediscono i vigneti più in basso e il freddo che attanaglia quelli sulle cime delle colline. Se in questa zona esistono cru di cui i monaci cistercensi ci parlano fin dal 1100 ci sarà un motivo. Quel pezzo di terra è eccezionale, ma serve anche la giusta sensibilità per valorizzarlo. Questo è il vino, quando un vignaiolo capisce la propria vigna e la sa interpretare. Pensate che in totale i 30 Grand Cru della Borgogna sono 550 ettari, di cui 356 per i rossi. Se preferite un dato italiano gli ettari deputati alla produzione del Barbaresco sono circa 680.
Ma torniamo ancora un attimo alla pianta, alle vigne, per dire una cosa semplice: prima di tutto dietro ogni vino c’è una persona con la sua sensibilità, le sue scelte, la sua visione. Sì perché, sebbene si parli molto di vino naturale e di naturalità del vino, in realtà una semplice pianta di vite si espanderebbe per mezzo ettaro, si allargherebbe a dismisura per coprire la maggior parte del terreno possibile per trovare un appiglio e arrampicarsi verso il sole. La viticoltura è la domesticazione della vite, una forzatura, la si pota corta, si piega, si castra per farle pompare tutto lo zucchero in tre grappoli e le si impone tutto il contrario di quello che la natura le dice di fare. Una volta si piantavano 1000 ceppi per ettaro, adesso si tende a mettere sotto stress le piante con densità di 10000 piante per ettaro, per farle scavare a più non posso, perché non deve esserci troppa acqua, troppi nutrimenti, perché con la giusta dose di siccità la buccia si inspessisce e i sapori si concentrano.
Non è un attacco al vino naturale, ne abbiamo già parlato mille volte, adoriamo i “veri vini naturali”, ma chiamarli vini naturali è un errore sintattico che sconfina nell’inganno per i consumatori.
Chiudiamo la parentesi e adesso facciamo ritorno ai campi, eravamo arrivati ad avere degli splendidi grappoli sulle piante: il momento è delicato. Gli equilibri all’interno dell’acino sono in bilico, più l’uva matura e più l’acido tartarico e malico tendono a diminuire. Al contrario glucosio e fruttosio aumentano, la maturazione zuccherina. Ben diversa da quella fenolica, ossia quella de polifenoli, antociani e tannini, gli elementi fondamentali che danno sapore, colore e consistenza al vino e che aiutano anche a preservarlo dall’ossidazione. Per controllare il grado zuccherino delle uve una volta si assaggiava un acino, oggi si è molto più precisi e si usano strumenti come il rifrattometro.
Come detto prima il tempo della vendemmia dipende dal vitigno e dal tipo di vino che si vuole produrre. Ad esempio anche un vitigno tardivo come il Pinot Noir può essere raccolto presto, quando è ancora molto ricco di acidi e poi essere vinificato in bianco o rosato per produrre Champagne e grandi spumanti italiani.
Vediamo più nel dettaglio il grappolo, quali parti servono realmente per fare il mosto, ossia il succo d’uva che poi fermenterà?
I raspi aggiungono sapori verdi e tannini sgraditi, un tempo non si andava per il sottile, oggi si eliminano, anche se alcuni produttori per aggiungere nerbo al vino li lasciano. Per i rossi si usano macchine come la pigiadiraspatrice: in un primo momento elimina i raspi e poi pigia i grappoli. Stesso discorso per i vinaccioli, apporterebbero solo tannini poco gestibili, quindi vengono scartati nei bianchi e non schiacciati nei rossi.
La buccia è fondamentale per i rossi, prima di tutto per la pruina, quella sostanza opalescente che ricopre l’acino ed è utilissima per evitare che i lieviti spontanei scivolino via. Ma soprattutto è utile perché la macerazione si fa sulle bucce, sono loro a dare colore, sapore e profumi, mentre la polpa apporta zuccheri, minerali, vitamine e acidi, soprattutto l’acido tartarico.
Per i vini bianchi invece, a meno che non vogliate produrre un bianco macerato, si tende a usare presse a membrana, che schiacciano delicatamente i grappoli senza rompere bucce e raspi, in modo tale da ottenere un mosto fiore purissimo, senza la minima traccia di tannini. Sì, i tannini esistono anche nel vino bianco, non sono prerogativa dei rossi.
Da cosa è composto il mosto?
A questo punto abbiamo il mosto, composto in maggior parte da acqua e zucchero, che, mano a mano che le uve vengono spremute, viene immagazzinato nei tini, i quali possono essere contenitori come anfore o di acciaio, cemento o legno. Ricapitoliamo: nei bianchi abbiamo un mosto pulito, nei rossi sono ancora presenti le bucce. Bene, è arrivato il momento di far fermentare il mosto per ottenere il vino vero e proprio. Si possono inoculare lieviti (autoctoni o chimici) e far partire la fermentazione oppure si lascia fare ai lieviti (fermentazione spontanea) che erano presenti sui grappoli, nell’aria, nella cantina quando sono arrivate cassette con l’uva. I lieviti trasformano lo zucchero in alcool e anidride carbonica, ma c’è una grande differenza tra vino rosso e bianco. Il bianco fermenta e spetta al vignaiolo se controllare o meno la temperatura, quindi il vino, quando ha completato il suo affinamento sulle fecce, viene privato della feccia, stoccato, eventualmente chiarificato e filtrato.
Nel rosso invece le bucce rimangono e giocano un ruolo fondamentale nel rilasciare aromi, tannini e sostanze. In superficie si forma un cappello, uno strato di bucce e polpa che proteggere il vino dall’ossidazione, motivo per cui spesso il vino rosso è prodotto in tini aperti alla vecchia maniera. Rompendo il cappello il vino si arricchisce, tornano in circolo gli elementi aromatizzanti, per cui una o due volte al giorno si effettua il batonage, in italiano follatura, per non farlo seccare troppo. Alcune cantine usano strumenti meccanici già presenti nei serbatoi, ma non hanno lo stesso fascino.
Quando la fermentazione alcolica è finita il vino può essere travasato in legno, in anfora, in quello che volete o restare ancora a contatto sulle bucce e solitamente avviene una seconda fermentazione, quella malolattica, che trasforma lo sgarbato acido malico in acido lattico, più delicato, ma che ha un lieve sentore formaggioso. Le bucce vengono torchiate e si passa finalmente all’affinamento.
Anche in questo caso si possono usare contenitori di svariati materiali e il vino riposa fino a quando il vignaiolo non è soddisfatto del prodotto. Chi fa microvinificazioni e tiene separati a cru andrà avanti e imbottiglierà i singoli appezzamenti, altri invece mettono di nuovo tutto il vino insieme per arricchire il prodotto finale e dopo eventuali chiarifica e filtrazione imbottigliano e lasciano riposare qualche mese per dare equilibrio al vino, che non viene mai consumato subito. Il periodo di affinamento in bottiglia è fondamentale per dare tempo al vino di sviluppare tutto il suo fascino, quindi niente fretta.
Torneremo sulla filtrazione e chiarifica, pratiche su cui vertono infuocate diatribe tra vignaioli convenzionali e naturali. Molti per chiarificare il vino non fanno altro che travasarlo, in modo tale che per gravità le impurità cadano sul fondo: non c’è bisogno di usare sostanze allucinanti come albumina e altre porcherie.
Questioni ideologiche non ci interessano, quello che è certo è che il mondo del vino per ora poggia su una lacuna mostruosa, ossia la totale mancanza di trasparenza dell’etichetta. Se viene usata l’albumina per la chiarifica non ve lo dicono, se aggiungono bentonite non lo sapete. Se aggiungono tannini non ve lo dicono. Se usano acido citrico non ve lo dicono. Insomma a livello di tutela è una presa in giro, una truffa vera a propria per il consumatore. Pensate un attimo a quanto è paradossale: il vino dovrebbe essere uva, un suo derivato, ma non sappiamo cosa c’è dentro. Di contro, se ne leggete l’etichetta, saprete perfettamente quanti grassi saturi e olio di palma contiene la nutella o quanti zuccheri e coloranti come il cancerogeno E 150d contengono prodotti aberranti e chimici come la coca cola. Non parliamo poi dell’omertà sui solfiti, ma ci torneremo.