Esplosione delle Importazioni di Grano Duro: Sfida per l’Agroalimentare Italiano
Nel panorama agricolo del 2023, l’Italia si confronta con una realtà inedita: l’importazione di grano duro ha raggiunto i 2,6 milioni di tonnellate nei primi dieci mesi, segnando un incremento dell’85% rispetto all’anno precedente. Con una prospettiva di raddoppio entro fine anno, il tradizionale deficit estero del 35% potrebbe superare per la prima volta il 50%.
Per comprendere a fondo l’impatto su questo settore simbolo dell’eccellenza agroalimentare italiana, bisogna attendere la fine dell’anno agricolo in estate. Già ora, però, emergono chiari i disagi del primo anello della filiera, con i prezzi in discesa del 35% rispetto all’inizio della campagna di luglio, disincentivando investimenti e semine, queste ultime già stimate in calo del 10%.
Le anomalie climatiche, come il caldo atipico di dicembre, hanno influenzato negativamente le operazioni agricole, soprattutto nelle zone tradizionalmente dedite alla coltivazione del frumento. La spesa per l’importazione ha superato 1,1 miliardi di euro, un netto incremento rispetto ai 700 milioni dell’anno precedente.
La produzione nazionale, colpita dall’adverso maltempo dell’anno scorso, ha visto ridurre la qualità del grano, compromettendo la resa per l’industria molitoria. Nonostante ciò, il settore continua a promuovere la filiera 100% Made in Italy, attraverso contratti di filiera efficaci e incentivi nell’ambito della nuova Politica agricola comune. Quest’ultima, però, ha visto oltre 50mila imprese rinunciare ai pagamenti a causa delle complessità burocratiche e dei vincoli ambientali imposti da Bruxelles.
Con quasi 1,3 milioni di ettari coltivati e una produzione di circa 4 milioni di tonnellate (3,8 nel 2023), il grano duro rimane una coltura chiave per l’Italia. Quest’anno, a causa della diminuzione della produzione canadese, la Turchia è emersa come leader mondiale con 4,3 milioni di tonnellate prodotte e un export record di 1,7 milioni, ora però bloccato per tutelare il mercato interno, una misura adottata anche dalla Russia.
Nel contesto dell’export, la pasta italiana, dopo anni di record, registra un calo del 3% nei primi dieci mesi dell’anno scorso, nonostante un aumento del valore di 89 milioni, equivalente al 3,6%. La crisi nel Mar Rosso, che ha interrotto le spedizioni attraverso il Canale di Suez, ha aggiunto ulteriori incertezze, influenzando la disponibilità di container per l’export di pasta e prodotti da forno.
Carlo Licciardi, presidente di Anacer, sottolinea che nonostante le difficoltà logistiche causate dalla crisi, le importazioni non hanno subito interruzioni. Tuttavia, la crisi macroeconomica globale, con un calo dei consumi e una sovrabbondanza di offerta di cereali e soia, ha contribuito al crollo dei prezzi.
In Italia, la situazione non è meno complessa, con scorte abbondanti e l’Ucraina che sta esportando merce via terra, causando il collasso logistico. Enzo Martinelli, presidente di Italmopa, evidenzia che nonostante le semine ritardate, la diminuzione della produzione sarà contenuta intorno al 10%.
L’importazione di grano dovrebbe ridursi nei prossimi mesi, con la produzione nazionale che soddisferà buona parte del fabbisogno. L’export di pasta, che ora rappresenta il 60% della produzione, dimostra la capacità dell’industria molitoria di adattarsi, miscelando grani italiani con quelli esteri, una pratica impossibile con il vincolo del 100% italiano.
In sintesi, l’agricoltura italiana affronta una sfida senza precedenti, in bilico tra le politiche agricole, le condizioni climatiche e le dinamiche del mercato globale.