Kuchikamizake: il sake giapponese masticato dalle vergini giapponesi esisteva davvero? E che sapore aveva?
Oggi parleremo di kuchikamizake, quello che è da considerarsi la prima bevanda fermentata di riso giapponese. Ma non stiamo parlando di sakè (o sarebbe meglio dire di nihonshu, visto che per sakè la legge giapponese intende tutti gli alcolici in generale), ma di una prima pappetta di riso masticata e poi lasciata fermentare.
Esatto, prima che nelle risaie a cielo aperto i Giapponesi scoprissero il Kōji-kin, la muffa chiamata Aspergillus oryzae, responsabile della maltazione e conseguente demolizione dell’amido in zucchero fermentabile, la fermentazione veniva innescata dalla saliva.
Ma non dalla saliva di persone comuni, ma di sacerdotesse shintoiste, vergini giapponesi di grande bellezza. Tutto nella norma, un classico sogno erotico giapponese, ne abbiamo visto di peggio, come i distributori automatici di mutandine di studentesse, i travestimenti procaci e vari riti sado-maso. Il bello del Giappone è anche questa strana e perversa mescolanza tra sacro, profano e carnalità morbosa.
E poi è il minimo: se deve essere masticato, sputato e poi fatto fermentare è meglio che questo bolo di riso molliccio e madido sia masticato da una bella vergine, piuttosto che un vecchio samurai senza dentiera. Feticismi ed estetica a parte, ogni saliva è diversa e quindi imprime gusti diversi al fermentato, per cui si preferita la saliva di donne nel fiore dell’età, a cui erano attribuiti sapori più gradevole, anche se questo sembra essere un mito, plausibile come usanza, ma scientificamente irrilevante,
Come veniva prodotto il kuchikamizake
Kuchikamizake è una parola composta da tre parole che unite diventano la triade perfetta della perversione alcolica a bassa gradazione. Kuchi è bocca, kami tradotto è masticato e zake significa sakè. In pratica, il riso veniva lavato e poi messo in ammollo in acqua per essere ammorbidito. Quando era diventato una sorta di pappetta lattescente e molliccia, veniva masticato dalle procaci bocche delle vergini, che in questo modo, grazie agli enzimi presenti nella saliva, innescavano una prima digestione o scomposizione dell’amido.
Perché fare vino a livello pratico è un’operazione meccanica molto semplice: se schiacciate l’uva in un contenitore, gli zuccheri presenti inizieranno a mangiare il fruttosio e il saccarosio presente nel succo, creando anidride carbonica e alcol etilico come prodotti di scarto. Questo non significa che sia un buon vino, tenderà a diventare aceto dopo un certo punto, ma il processo partirà anche senza la presenza di un lievito, di uno starter.
Per produrre kuchikamizake sakè la questione non è così semplice. Se provate a mettere del riso in acqua, potrete aspettare anche dei giorni, ma non fermenterà mai da solo. E questo accade perché l’amido non è fermentabile, come non lo è l’orzo, serve una maltazione, ossia devono essere scomposti in zuccheri fermentabili come saccarosio e fruttosio. Ma per demolire gli zuccheri servono degli enzimi, come quelli responsabili della prima digestione che facciamo ogni volta che mangiamo, quelli della saliva, grazie all’amilasi salivare, un enzima che idrolizza l’amido in zucchero, che poi verrà digerito nello stomaco. Per questa la nonna ci ha sempre di masticare bene e a lungo il boccone, ah quanta saggezza. Ovviamente il risultato di questi primi fermentati erano bevande leggere, dolci, dove la poca forza dell’amilasi riusciva a malapena a far fermentare gli zuccheri e quindi anche il grado alcolico di questi pseudo sakè era molto basso, 3-4 gradi alcolici. Più che sufficienti però per diventare bevande richieste e preziose, perché in grado di dare euforia.
Storia del kuchikamizake, il sakè masticato
Ma torniamo alle nostre vergini pulzelle, visto che non stiamo parlando solo del quarto secolo dopo Cristo, ma anche di metà del 1900, perché nella prefettura di Okinawa, nelle isole Ryukyu del Giappone, la patria del mitico awamori, un tipo particolare di shōchū, il Kuchikamizake era prodotto fino agli anni Quaranta del 1900. Erano prodotti per feticisti facoltosi, ma ancora oggi si mormora che la pratica non sia del tutto scomparsa.
Ma questa prima sorta di tecnica salivare non deve stupirci, molte società antiche hanno dovuto arrangiarsi e dare il via alla fermentazione masticando duramente. Molte civiltà precolombiane produssero fermentati di mais partendo dalla masticazione e anche il Kava, prodotto dalle popolazioni del Pacifico dalla masticazione delle radici di kava-kava, conosciuta anche come Piper methysticum Forst, è nato in questo modo.