Pesto alla genovese in barattolo: la classifica dal migliore al peggiore
Il nostro amato Fake Food era andato in vacanza da un po’, ma è tornato alla grande con una delle bufale alimentari più sconce, ingannevoli e riprovevoli: il pesto alla genovese industriale. Sì, esatto quello in barattolo, quello che lo compri e poi ti risolve tante cene quando non sai cosa fare o sei appena tornato a casa e il frigorifero è vuoto. Ma il dramma è che quello non è pesto alla genovese, vi siete mai fermati a leggere le etichette? Avete controllato le quantità di sale, di grassi saturi?
Preparatevi, perché ne vedrete delle belle, ogni etichetta di fake pesto nasconde insidie, inganni, ingredienti poco allettanti, ma soprattutto veri e propri fake alimentari. Partiamo subito dicendo una cosa molto semplice, una tautologia che anche solo a pronunciarla fa ridere. Perché permettono a queste multinazionali del junk food di chiamarlo pesto alla genovese, se non si avvicina neanche lontanamente alla vera ricetta originale? Ma non stiamo parlando di rapporto tra pecorino, Parmigiano o se si usa il pecorino sardo o se sono due o tre spicchi. No la questione è molto più seria, ci propongono prodotti civetta, una brodaglia chimicamente manipolata corretta con zucchero e lattosio fatta con anacardi, basilico di dubbia provenienza e olio di girasole.
Ma poi ridi, ridi e alla fine questi prodotti li comprimo e nessuno si cura di analizzare gli ingredienti, se rispondono a requisiti di trasparenza e ancora una volta la domanda è: chi tutela il consumatore?
Nessuno.
Quello del pesto alla genovese industriale è una giungla selvaggia, dove chi fa l’etichetta più bella vince, poi se quello che c’è dentro il barattolo non è pesto alla genovese vero, fa niente.
I due grandi nodi sono l’assenza dei pinoli e l’olio di oliva presente in quantità ridicole. Per i pinoli accettiamo il fatto che siano più deperibili degli anacardi, ma se ci metti gli anacardi o le arachidi non chiamarlo pesto alla genovese o è una pagliacciata e una truffa per i consumatori. La questione è di trasparenza, non di gusto. Non abbiamo nulla contro la lobby degli anacardi, anzi.
Per quel che riguarda l’olio di oliva metterne solo l’1%, quando è uno degli ingredienti fondamentali della ricetta originale, fa ridere i polli. Ma poi pensate alla marginalità di un prodotto e compensate con un’etichetta fasulla e ingannevole e i conti alla fine tornano. Devono tornare, altrimenti non fai profitti.
E con questo abbiamo finito di ammorbarvi, adesso tuffiamoci nella nostra rutilante classifica dei principali pesti alla genovese fake che potete trovare nei supermercati.
Gran pesto alla genovese Tigullio, Star
Fake assoluto, un prodotto simile andrebbe sanzionato o almeno corretto e ridimensionato nella sua delirante ambizione: chiamarlo pesto alla genovese è una bestemmia, un inganno per i consumatori. I pinoli sono presenti solo all’1%, il resto sono anacardi, senza contare che tra gli ingredienti figurano zucchero e patate. Il basilico manco a dirlo non è il genovese dop, ma un anonimo basilico. Ma dalla Star, non ci aspettavamo nulla di meno: gusto pastoso, salato, sa di fieno: poco raccomandabile anche per il palato. La consistenza è inquietante, troppo denso al limite del plasticoso. Non lascia un bel ricordo.
I Pesti alla Genovese, Barilla
Dalla padella alla brace: le grandi industrie proprio non ce la possono fare. Questo della Barilla non è un pesto alla genovese, è un altro inganno per i consumatori, basta leggere gli ingredienti: Grana Padano al 4,5 %, praticamente assente, basilico di provenienza sconosciuta, siero di latte in polvere, zucchero, latte, latticello in polvere e acido lattico. Di olio di oliva ne hanno messo una goccia, 1%. Provate a far leggere questa etichetta ad una cuoca genovese e vi prende a colpi di focaccia in faccia.
Ultima nota negativa, davvero preoccupante, ma che vale per tutti gli altri prodotti. 100 grammi di questo intruglio vi forniscono 3,37 grammi di sale, quando la vostra dose massima giornaliera è di 5.
100 grammi sono meno di metà del barattolo. Se amate le vita, e non solo la vita sana, state lontani da questo concentrato di sale. Sappiate che le patatine San Carlo, uno dei junk food più salati in assoluto ha 1,2 grammi per 100 grammi di prodotto, questo condimento della Barilla ne ha il triplo. Tutt’altro che cibo sano.
Chiamare questo intruglio chimico senza arte né parte è ingiurioso per la tradizione culinaria italiana. Anche in questo caso l’etichetta andrebbe sanzionata o almeno ridimensionata nelle ambizioni. Il sapore è piatto, grossolano ed eccessivamente salato. La consistenza è terribile, sembra un frullato di kiwi e big babol condite con alghe delle Galapagos. Uno dei peggiori come gusto. Shame on you Barilla.
Pesto alla genovese Selex
Un altro fake food, un prodotto che cerca di ingannare i consumatori con un’etichetta che propone qualcosa che in realtà è tutto tranne che pesto. Anacardi a iosa. Almeno qualche pinolo c’è, ma il sapore è insulso, salato, piatto e sconfortante. Anche in questo caso il sale domina e rende questa brodaglia verde inaffrontabile.
Pesto alla Genovese, Saclà
Un’altra bufala, questo non è un pesto, ma una salsa verde al basilico condito con anacardi, glucosio, acido lattico e tanto olio di girasole, forse due gocce di extra vergine di oliva. Il sapore è salato, banale, papillarmente piatto e non c’è tutta la spensierata leggerezza aromatica che di solito ci si aspetta nel pesto. Un prodotto obbrobrioso, tra l’altro pieno di sale: 3,3 grammi per 100 grammi di brodaglia. Se volete farvi un pieno di sale da pompare nelle vene, fatevi sotto!
Pesto alla genovese Bio, Barilla
Una menzione d’onore per il pesto con la consistenza più strabiliante, vellutato e cremoso, quasi argilla verde. È appiccicoso come uno slime o Skifiltor, il gusto raggiunge un abisso sconfortante di tristezza unica. Giusto così per sparare sulla croce rossa.
Pesto con basilico genovese dop, Biffi
Il prodotto in sé è un salsa industriale dal gusto che non entusiasma, è formaggiosa e poco ispirata, troppo pastosa e salata, ma hanno avuto la decenza di non chiamarlo alla genovese. Almeno qualcuno con un minimo di dignità c’è. E adesso arriva il punto, stiamo lodando un produttore di cibo industriale solo perché non è stato ingannevole e poco trasparente al contrario degli altri. Ok, i consumatori possono scegliere, occhi sempre aperti e luci accese anche di giorno, ma qualcuno che controlli l’attendibilità dei prodotti che finiscono sulle tavole dei consumatori esiste?
Ma dopo tante lodi per non essere laidi e infidi, finiamo in bellezza: quantità di sale allucinanti 3,3 grammi e pure con i grassi saturi non si scherza, 8,2 grammi. Insomma un bel prodottino che fa bene al cuore, non appesantisce, ideale per chi vuole uno stile di vita sana e l’ipertensione come amica.
Gran pesto cremoso alla genovese Tigullio, Star
Altra chicca dalla Star, molto dinamica e grintosa nei nostri ultimi fake food. Questa salsa è immangiabile: il sapore allappa, sommerge il palato con una colata di untuosità e pannosità insopportabili. Il gusto è finto, salato fino alla disperazione più totale. E poi cremoso de che? Il pesto è fatto con il mortaio, questa è una maionese frullata fino alla nausea, tanto da far accapponare la pelle. Shame on you, Star.