Fricandò 2020 Al di là del fiume: un’Albana bolognese con una cartola assurda!
Devo dire la verità, mi sono avvicinato al Fricandò 2020 della cantina Al di là del fiume con un certo scetticismo. Ancora un’Albana macerata, fatta in anfora poi, uh, brividi, sembra un copione già visto. Il classico vino naturale hipster con un’etichetta smagliante… sento puzza di brett e spiritualismo contadino da lontano un chilometro.
E invece no! Il vino è solare, salato, pieno di succo e naturalezza di beva. Ti invita, ti solletica con un piglio spavaldo a tuffarti nel bicchiere. Non ci sono sgrammaticature, bret, volatili furibonde e neanche un accenno di pesantezza. E anche la mitica Daniela (una dei tre proprietari) è una persona squisita, guidata da una visione che non si può che apprezzare: tornare a vivere la campagna vera, non come consumatori o imprenditori, ma come custodi. Da questa visione è scaturita una cantina immersa nella natura, in un parco splendido, dove non si produce solo vino, ma vengono anche coltivati cereali, frutta e ortaggi.
Ma non pensate ad una fazenda di 15 ettari, ma a dei fazzoletti di terra a misura d’uomo. E lo scopo è questo: valorizzare, accudire e mantenere vivo il legame con la terra. Per molti è un sogno, l’autosostentamento, la vita all’aria aperta, il lusso di poter coltivare e mangiare prodotti sani privi di pesticidi, per altri è una necessità e per questo Daniela, Adriano e Gabriele hanno mollato tutto e si sono trasferiti in mezzo alla natura.
Ma torniamo al vino. Non è un vino da lasciare in cantina per 20 anni, ma ha carattere, profondità e volume aromatico da vendere.
Se state cercando un buon compromesso tra mineralità, freschezza e pienezza di sorso, provate questa Albana, perché merita un di essere scoperta.
Come viene prodotta l’Albana Fricandò 2020 Al di là del fiume
Partiamo con la particolarità della cantina, che sorge nel Parco Monte del Sole, a Marzabotto. Subito un cortocircuito enologico-culturale mi ha bloccato, in quanto romagnolo: cosa ci fa un vitigno di origini bizantine-romagnole nelle colline bolognesi? In realtà, l’Albana è stata spesso coltivata anche in queste verdi colline, assieme a Pignoletto e Barbera, non è che si sia fermata al confine imolese… Per comodità e per darle una connotazione territoriale, chiamiamo l’Albana un vitigno romagnolo, ma non per questo ne ha l’esclusiva.
Le uve provengono da vigne allevate in regime biologico, non si usano diserbanti né prodotti chimici, ma solo preparati biodinamici. Il vino è prodotto a partire da fermentazione spontanea e macera per tre mesi in anfora. Seguono tre mesi di riposo in bottiglia, dopo aver aggiunto una piccola quantità di solforosa, che a dire il vero dopo un anno e mezzo si fatica a cogliere.
Caratteristiche organolettiche
Ne risulta un vino pieno e affilato, corposo, ma per nulla omologato dalla lunga permanenza sulle bucce. Come ben sapete l’Albana non è molto aromatica ed è per questo che stanno fiorendo vinificate con lunghe macerazioni, grazie a cui il vino acquista polpa, consistenza e intensità. Fortunatamente in questo caso la mano del vignaiolo è felice e la sensibilità con cui si è trattata la materia è delicata. Ci sono tutti i profumi gialli del mondo, il giallo è il registro linguistico e stilistico di questo vino. Miele, cera d’api, tutta la frutta gialla come susine, nespole e cachi, tutti i fiori, tra cui spicca la ginestra, tutte le spezie gialle tra cui emerge la curcuma, spezie. Tutto il bouquet è giocato su richiami pronunciati con squillante delicatezza; misura e precisione sono le due parole d’ordine.
Al palato è strutturato, ben modellato da tannini gustosi che assumono consistenza mano a mano che si beve. Acidità, sale e sapori che potremmo definire quasi da vermut con elicriso ed erbe alpine animano il sorso.
Non pensate nemmeno per un attimo ad un vino stanco o pachidermico o troppo pieno. Tutto il contrario, è una bomba di dinamismo e crea dipendenza.
Ancora una volta l’Albana ha dimostrato che piccolo capolavoro può essere.