San Fereolo Dogliani DOCG 2013: il Dolcetto come non lo avete mai bevuto
Il Dolcetto di San Fereolo 2013 è un vino anarchico e sprezzante, un ribelle che non vuole piegarsi ai luoghi comuni che vogliono che il Dolcetto sia un vino mansueto, beverino e “snello”.
Questo Dolcetto è tutto il contrario. È roccia e sangue, terra e nebbia, una amalgama incredibile di sensazioni dure, frutto austero, calore e profondità. Siamo a Dogliani e la cantina San Fereolo coltiva Dolcetto, Barbera e Nebbiolo con amore e attenzione, usando un approccio lento e antico. I vini hanno una concentrazione fuori norma, estratto, tannicità deflagrante e un’anima di acciaio che non lascia spazio a mollezze. Lunghi affinamenti in botte grande aiutano a modellare solo in parte tanta materia, che potrà sfidare i decenni futuri, per cui non aspettatevi il solito Dolcetto smunto.
No, cari wine loverz, se volete scoprire il volto ombroso e un po’ accigliato del Dolcetto, provate le bottiglie della cantina San Fereolo e scoprirete che il Dolcetto non è soffice e pettinato come indicherebbe il nome. Questo è un vero combattente, morde e non molla un colpo, ha sapidità, peso specifico sul palato e tanto corpo, ma questo non significa che sia un vino che scade nelle brutalità. Anzi, si percepisce una certa eleganza che disegna il tratto. Ogni parte è in perfetto equilibrio e gioca su una sottile linea di scambio.
Qui si parla di intensità, di spessore e materia che sono state distillate con sapienza e mano felicissima, ma non aspettatevi solo un tannino piallante. Il vino è didascalico, fatto di strati da scoprire lentamente, di petali da assaporare uno dopo l’altro.
Solo che al posto della solita scialba struttura sanitaria in decadenza in cui passeggiare, qui abbiamo un maniero maestoso in cui muovere un passo dopo l’altro.
Forse siamo stati troppo iperbolici, ma quando ci esaltiamo a questo servono le parole. A rompere gli schemi e aprire uno spiraglio. E questo vino, questo splendido Dolcetto di Dogliani, pur avendo un animo scontroso e cupo, non apre solo uno spiraglio di luce e speranza, ma è una vera è propria supernova che spazza via ogni altro Dolcetto puccettoso.
Forse è arrivato il momento di rivedere le nostre convinzioni su questo nobile e bistrattato vitigno, da molti considerato un Cenerentola sotto botox. Il Dolcetto potrebbe rivoluzionare il panorama e il mercato dei vini rossi piemontesi di razza e da invecchiamento. Lo troveremo nelle cantine dei ricchi cinesi a fianco di grandi classici glamour come Bolgheri, Gaja e Mondavi?
Certo non è proprio il momento di offrire vini complessi, quando ormai la china è quella di rincorrere la bevibilità come il Santo Graal. Tuttavia, è innegabile che le potenzialità per creare un’icona immacolata, dove possa essere pennellata una nuova e radicale narrativa, siano evidenti.
C’è un unico problema: bisogna attendere. Questo Dolcetto è un 2013, annata folle per un vino che l’ortodossia elitaria barolista vuole da bersi subito. Soltanto due anni fa non avremmo nemmeno preso in considerazione questa bottiglia per paura di bere un vino già morto. Ma invece inizia a vivere solo ora. La carica tannica è ancora poderosa, l’estratto è notevole, si sente la ricerca di una perfetta quadra, ma ci sta lavorando. È un vino vivo e cangiante. E proprio per questo sono da ricercare le annate più vecchie.
Ancora una cosa. Non è il solito ditirambo sui vini naturali, anche se forse lo è collateralmente. Non tutti i Dolcetti nascono come eroi, non tutti sono destinati ad avere una lunga e valorosa vita. Anzi la maggior parte rappresenta indifferenza e insipienza.
E poi trovate cantine vere come San Fereolo, che lavorano la terra e vinificano in maniera onesta e trasparente. Non hanno fretta e producono non solo per il soldo immediato, ma anche per il futuro e vendono quando il vino è pronto.
Sì, è un vino naturale pieno. Non filtrato, non castrato, in grado di vivere per 20 anni almeno. Ma le bottiglie sono poche, serve un progetto della terra, servono contadini e non potete fare un vinello fruttatino pronto in quattro mesi. Tutto in questa bottiglia richiede tempo.
Considerate che questo Dolcetto nasce da vigne vecchie di 70 anni coltivate in regime biodinamico. I suoli di calcare aiutano a dare vigore tannico alle uve. Raccolta manuale, macerazione in legno con fermentazione spontanea, senza controllo di temperatura. Segue travaso in legni che vanno dai 7 ai 20 ettolitri, sei mesi sulle fecce fini, svinatura e affinamento di un anno. Il secondo anno dopo la vendemmia viene imbottigliato e affina ancora un anno in bottiglia. Viene spontaneo rimanere stupiti davanti a tanta dedizione. Un vero amante del vino si esalta soltanto a leggere la descrizione della nascita di questo vino, figuriamoci poi a berlo.
Ma poi arriva il Covid e il magazzino è pieno e hai le annate vecchie e lo storage costa e quindi è comprensibile che molte cantine producano un vino più semplice e vendibile nell’immediato. Non è facile abbracciare questa filosofia, ma se provate questo Dolcetto, non riuscirete più a tornare indietro e la parola DOLCETTO assumerà un nuovo significato.
Abbinamenti consigliati
Paella, vitello tonnato, pollo al curry, costine con salsa barbecue, lasagne al forno, roast beef, pulled pork, empanadas, hamburger, filetto alla Wellington.